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Martedì, 16 Aprile 2024

Charlotte Matteini

Opinionista

Se ti violentano è colpa tua

Attenzione a bere qualche cocktail e ad andare in bagno senza chiudere la porta, se vi succede qualcosa è possibile che qualcuno vi consideri delle provocatrici che inducono gli uomini a osare per non perdere la propizia occasione che gli state offrendo tra le righe. Ad esprimere questa tesi è una recentissima sentenza della Corte d’Appello di Torino che ha ribaltato una condanna per violenza sessuale in primo grado con un’assoluzione con delle motivazioni che ho dovuto rileggere quattro volte prima di convincermi che non me le stessi sognando.   

Ogni parola è un pugno nello stomaco. Secondo il giudice, la ragazza vittima di violenza era “alterata per un uso smodato di alcol” e inoltre “si trattenne in bagno, senza chiudere la porta, così da fare insorgere nell’uomo l’idea che questa fosse l’occasione propizia che la giovane gli stesse offrendo. Occasione che non si fece sfuggire".  

Come se questo non bastasse, il giudice ha anche sostenuto che l’imputato “non ha negato di avere abbassato i pantaloni della giovane" rompendole la cerniera, ma questo sarebbe avvenuto perché "nulla può escludere che sull'esaltazione del momento, la cerniera, di modesta qualità, si sia deteriorata sotto forzatura".  

“Ma perché non denunciate?”. E’ la domanda lapidaria che, da anni, ormai, sin dai tempi in cui ha preso piede negli Stati Uniti il movimento del “Me too”, molte donne si sentono porre quelle rare volte che trovano il coraggio di raccontare episodi di molestia e violenza sessuale subiti. E’ la domanda che ha rimbombato sui social per intere giornate qualche settimana fa, in risposta alla denuncia mediatica di una ragazza romagnola che su Twitter aveva raccontato delle continue molestie degli alpini che in quei giorni erano presenti massicciamente in città per il consueto raduno nazionale. Denuncia successivamente presentata e archiviata per l’impossibilità di arrivare all’identificazione dei colpevoli. 

Ecco, una risposta a questa domanda ce la fornisce proprio la sentenza di Torino, con delle motivazioni che spiegano in maniera cristallina perché ancora oggi, nel 2022, le donne hanno timore a denunciare questi reati. Una sentenza che ribalta i ruoli e che di fatto trasforma la vittima di una violenza sessuale in carnefice. Ed è solo l’ultima di una lunga serie di sentenze imperniate di victim blaming. 

“Ma lei come era vestita?”. “Ma lei cosa ci faceva in giro a quell’ora da sola?”. “Ma lei perché ha bevuto così tanto?”. “Ma si sa, il maschio è cacciatore, vede una bella ragazza scosciata ci prova”. Sono le domande e i giudizi a cui una donna si trova costantemente di fronte quando prova a denunciare. Improvvisamente il dito viene puntato contro la persona che sta raccontando di aver subito una molestia o violenza sessuale. Una costante e strisciante tendenza alla colpevolizzazione della vittima che molto spesso costringe le donne a subire in silenzio. In silenzio, perché quando qualcuna trova il coraggio di parlarne sui social, alle forze dell’ordine, davanti a un giudice, il rischio di ritrovarsi sul banco degli imputati è alto. 

Sono domande che celano giudizi, giudizi che nascondono giustificazioni sempre sbilanciate a favore del povero ragazzo o uomo che alla fine ha solo la colpa di averci provato con una ragazza che aveva puntato. Puntato come una preda, come animali che vivono di solo istinto. Ma che sarà mai? E’ la natura, no? Ecco, ma perché le donne fanno fatica a denunciare reati sessuali? La risposta è questa: perché non ci sentiamo davvero tutelate. Anzi, il rischio è di passare addirittura per delle poco di buono, colpevoli. E’ il patriarcato, bellezza!

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