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Giovedì, 30 Marzo 2023
sharenting

Pedofilia, adescamento e gli altri pericoli: perché evitare le foto dei figli online

In Francia una proposta di legge vuole limitare lo "sharenting", ovvero la condivisione delle fotografie dei bambini sui social da parte dei genitori. Ed anche nel nostro Paese l'Autorità garante per l'infanzia e il Garante per la privacy denunciano i "gravi pericoli" a cui sono sottoposti i minorenni. Ora la proposta arriva alla premier Giorgia Meloni

Già dai tempi dell'ecografia siamo contenuti d'appeal sui social: abbiamo ancora cinque mesi e mamma e papà condividono quella che è una bozza del nostro volto in una fotografia scattata durante l'esame morfologico. Anzi, in verità siamo contenuti già da prima. Già dal "gender reveal party": non siamo ancora venuti al mondo ma diventiamo un pretesto con cui mamma e papà si procacciano like su Instagram, attraverso festicciole di rivelazione del sesso che dissetano il loro narcisismo più pruriginoso. Poi il parto, il primo incontro col fratellino, la prima festa di compleanno. E il resto è storia, storia della nostra vita che viene spiattellata sui social network senza che ne siamo a conoscenza. È così che la nostra "identità digitale" comincia ad essere in costruzione ancor prima che noi possiamo dare il nostro consenso al trattamento della nostra immagine, ancor prima che noi possiamo essere consapevoli dei rischi che questa esposizione può comportare, ancor prima che possiamo scegliere la strada dell'anonimato che i nostri genitori ci avranno fatto smarrire per sempre. 

C'è un vuoto normativo nella gestione dell'immagine dei minori sui social. Un vuoto normativo che è tipico dei social network, piattaforme al centro di un'esplosione così improvvisa da non lasciare il tempo di prendere le misure (misure che, se prese oggi, farebbero andare in fumo il fatturato di parecchi influencer, ovviamente). E che la Francia sta provando a colmare, con l'Italia al seguito. Insomma, così come il cinema e la tv si sono dati delle regole nella tutela della privacy dei più piccoli, è opportuno ragionare su rischi ed implicazioni presenti anche per il cosiddetto "sharenting" (da "share", condividere, e "parenting", genitorialità), seppure è possibile farlo in forma parzialmente predittiva, visto che la generazione Alpha, ovvero quella dei nativi digitali, ovvero quella delle ecografie morfologiche di cui sopra, sta ancora crescendo. 

Come si stanno muovendo Francia e Italia 

Lo sta facendo appunto la Francia, che già giorni fa aveva alzato l'età minima per accedere ai social a 15 anni. Ma non basta, anzi resta un paradosso: la più grande sfida per la privacy online dei bambini non è tanto il loro accesso alle piattaforme, quanto il genitore che condivide troppo. E che va regolato. Proprio per questo Bruno Studer, uno dei deputati di Renaissance, il partito del presidente Emmanuel Macron, ha presentato il disegno di legge - approvato all'unanimità dall'Assemblea Nazionale Francese - volto ad aumentare le loro responsabilità. In concreto, secondo la sua proposta, che di fatto non è tanto repressiva quanto volta a sensibilizzare, si stabilisce che:

  • La protezione della vita privata degli figli è uno dei compiti dei genitori 
  • Che i figli devono essere consapevolmente associati alle scelte che lo riguardano
  • Che, nel caso in cui un genitore sia in disaccordo con la condivisione di una foto, il giudice può vietare all'altro di pubblicarla
  • Che, nei casi gravi di violazione della dignità, l'esercizio del diritto all'immagine del minore sarà tolta ai genitori ed affidata ad un giudice

La proposta di legge si fa forza su uno studio pubblicato dall'Observatoire de la Parentalité & de l’Éducation numérique (OPEN) che sottolinea la diffusione del fenomeno: "il 53% dei genitori francesi ha già condiviso contenuti riguardanti il proprio figlio" e, "per il 43% di loro, la condivisione di contenuti è avvenuta fin dalla nascita del bambino e per il 91% tra gli 0 e i 5 anni"; si stima insomma "che un bambino appaia in media in 1.300 fotografie online prima dei 13 anni". Speculare il comportamento dei genitori italiani e difatti anche nel nostro Paese a far sentire la propria voce ci pensa il Codacons, oltre ai Garante per la Privacy e l'Autorità garante per i diritti dell'infanzia, che hanno proposto di estendere a questi casi la tutela già esistente contro il cyberbullismo: si tratta della Legge 71/2017, quella che consente ai minori di chiedere la rimozione di contenuti a loro riferiti. Nessuna risposta al momento dalla premier Giorgia Meloni. 

Quali sono i pericoli dello sharenting 

Ma quali sono i pericoli dello sharenting? Oltre a ribadire che parte dei rischi sono deducibili in forma predittiva, poiché non abbiamo ancora abbastanza dati empirici accumulati sul lungo periodo, va sottolineato che i problemi non riguardano solo il piano della privacy del bambino ma si ampliano al suo percorso psicologico.

  • La perdita totale di controllo delle foto pubblicate. Ciò che viene pubblicato in rete non è più cancellabile. Tutto ciò che viene condiviso resta per sempre. Non importa quanto privato possa essere il vostro account o quanto conosciate da vicino i vostri amici di Instagram, vista l'esistenza dello screenshot. 
  • La violazione della privacy e della riservatezza dei dati personali (e spesso sensibili). Come sottolinea Save The Children - e come sancito anche dalla Convenzione dei diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza e più recentemente dal Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR) - la privacy è un diritto non solo degli adulti, ma anche per i bambini e le bambine. Grazie alle foto dei genitori invece, i bambini si ritrovano sui social senza averlo mai chiesto. Il risultato è la rinuncia al diritto dell'anonimato digitale in futuro: una rinuncia per cui il bambino non ha dato alcun consenso. "Guardare i feed dei miei genitori mi fa sentire nudo", ha raccontato una 17enne al New York Times
  • La pedopornografia. Una ricerca americana chiarisce che il 50% delle foto che circolano sui social pedopornografici sono state originariamente pubblicate proprio dai genitori. 
  • Il rischio di adescamento: le informazioni date sui bambini, come le loro passioni o la scuola frequentata, offrono materiale utile nei processi di avvicinamento e adescamento online.
  • I broker di profilazione. Qualsiasi informazione fornita sui bambini - nome, data di nascita o geolocalizzazione - potrebbe essere acquisita dai data broker di profilazione, ovvero le società che raccolgono informazioni personali e le vendono agli inserzionisti.
  • Furto d'identità. Studi citati dalla BBC stimano che entro il 2030 la condivisione svolgerà un ruolo in due terzi dei casi di frode di identità.
  • Ripercussioni sociali, bullismo, pericoli ritorsivi. Ciò che pubblichiamo oggi può creare un disagio o un danno psichico domani. Non è detto che le foto che un genitore trova divertenti oggi, non possano diventare causa di disagio e di scherno domani, persino di bullismo. Soprattutto quando riguardano bambini con problemi comportamentali o malattie croniche: quello che per mamma e papà è desiderio di sensibilizzare sul tema di determinate lotte, potrebbero avere ripercussioni negative per il bambino del futuro, fino al cyberbullismo o ai pericoli ritorsivi. Lo stesso Studer, ex insegnante ed oggi politico, spiega di aver assistito a casi di bullismo nati proprio da foto postate on line dai genitori dei ragazzi. 
  • Riflettiamo sul concetto di dismorfismo corporeo. È, soprattutto questo, un problema che possiamo ipotizzare solo in maniera predittiva ma è importante citarlo. Nel 2018 i Kardasian, la più nota famiglia di influencer al mondo, furono accusati di aver migliorato le foto delle loro figlie di quattro e cinque anni: i loro stomaci erano stati snelliti, la loro pelle levigata. Se un genitore modifica le foto del bambino, questo imparerà che il proprio corpo o la propria vita sono imperfetti e cercherà per tutta la vita conferme negli estranei: il "dismorfismo corporeo" è un disturbo psichiatrico caratterizzato da un'eccessiva preoccupazione per un difetto fisico non presente o soltanto minimamente osservabile da altri. 
  • Se l'ossessione è poi quella di presentare il loro bambino in una luce positiva "è possibile che questo possa essere problematico, poiché si crea un sé ideale di cui il bambino deve essere all'altezza", ha spiegato al The Guardian Veronica Barassi, docente di comunicazione e comunicazione presso la Goldsmith's, University of London. Tra gli altri pericoli citati sempre dal Guardian, dal punto di vista psicologico, il rischio è di sviluppare un Falso Sé. 
  • Il tempo perso. Il tempo speso a cercare gli abbracci virtuali altrui può portarci fuori dal mondo in cui viviamo. "L'interazione non termina nel momento in cui premi condividi", suggerisce il New York Times "anzi una parte della tua mente è in attesa di risposte, e questo equivale a una piccola distrazione che ci allontana da qualsiasi altra cosa in cui saremmo coinvolti".* Una volta che pubblichiamo quell'immagine del nostro bambino che balla, non lo stiamo più guardando ballare. Una parte di noi è nel regno digitale, in attesa di convalidare la nostra gioia. 

Lo sharenting non riguarda solo i genitori influencer 

Si può così dedurre che i pericoli dello sharenting non riguardano solo i genitori influencer ma anche i genitori comuni. Riguarda la foto del vostro vicino di casa che porta i bambini al mare in estate e che, oltre a voi, ha appena 200 amici, ma anche quei genitori che, su TikTok e YouTube, trasformano i piccoli in personaggi da reality show. Riguarda appunto il nostro narcisismo più pruriginoso, come già detto prima: la gratificazione che il genitore vive in forma proiettiva quando il figlio riceve un like. 

Che i pericoli aumentino all'aumentare dei follower è poi scontato, soprattutto perché si aggiunge la componente della monetizzazione. Sul banco degli imputati ci sono in particolare gli influencer che hanno trasformato nel tempo le loro famiglie in brand. "Le loro famiglie in gabbie dei canarini", per usare efficaci parole del Guardian. In reality show. Tra i più polemizzati Chiara Ferragni e Fedez, che hanno condiviso sui social anche immagini tratte dalle telecamere di sorveglianza del loro appartamento milanese a Citylife (in basso). 

@chiaraferragni

Sciolta ?

? original sound - Chiara Ferragni

È o non è lavoro minorile?

L'estremizzazione del fenomeno arriva poi ai cosiddetti "baby influencer", ovvero profili di minori gestiti a scopo perlopiù economico. Sebbene infatti i genitori siano pronti ad assicurare che i bambini stessi si divertano nel registrare i contenuti e che i video siano assolutamente spontanei, resta da chiarire se possiamo parlare o meno di lavoro minorile. "La nostra proposta prevede di introdurre norme che vincolino i profitti effettuati attraverso questi bambini", ha assicurato Carla Galatti, Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza. Del resto in California già esiste una legge, la cosiddetta Legge Coogan - che prende il nome di Jackie Coogan, l’attore statunitense che nel 1921 recitò nel film di Charlie Chaplin Il monello  – che regola i diritti dei bambini rispetto ai guadagni ottenuti dai genitori. Ed andrebbe tarato sui guadagni prodotti dai minori sui social media. L'urgenza è comprensibile in numeri: nel 2018, secondo Forbes, il maggior guadagno su YouTube è stato un bambino di 7 anni che ha incassato 22 milioni di dollari giocando con i giocattoli. "Le mamme millenarie sono il Santo Graal" dei guadagni nell'influencer marketing, si legge ancora sul New York Times. 

Alcuni consigli per limitare i pericoli

In attesa che il vuoto normativo si colmi, a rimpierlo può essere il buonsenso, unito a quell'educazione digitale che ancora manca. Come? Alcuni consigli:

  • Chiedere il consenso alla pubblicazione ai bambini, laddove abbiano un'età che consente di farlo.
  • Condividere online foto che non ritraggano direttamente il volto dei bambini. 
  • Non condividere minuziosamente passioni, abitudini quotidiane e informazioni personali dei propri figli.
  • Disattivare il geotagging, ovvero la localizzazione geografica.
  • Usare Google Alert: impostare notifiche per essere avvisati quando il nome dei propri figli appare nei motori di ricerca. 
  • Parlare costantemente con parenti ed amici per agevolare tutela, soprattutto nel caso di famiglie allargate.
  • Ogni azione che si compie dovrebbe partire dalla risposta alla domanda: che tipo di conseguenze ha ciò che faccio sul mio bambino? 
  • Rendersi conto del seguente paradosso, sottolineato dall'American Family Survey: l'uso eccessivo della tecnologia è in cima alla lista delle preoccupazioni per i genitori di adolescenti, al di sopra di droghe, attività sessuale e salute mentale, eppure le decisioni che i genitori stessi prendono possono essere altrettanto malsane, se non di più. 

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