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Sabato, 20 Aprile 2024
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Redazione

Una torta da 15 miliardi: la lobby dei bagni e lo scontro eterno con l'Europa

Una torta da 15 miliardi di euro. Un lavoro, quello dei bagni all'italiana, che si tramanda di padre in figlio senza nuovi ingressi. E la politica che non vede, non sente, non parla. L’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, supremo organo della giustizia amministrativa, ha appena discusso di una delle due questioni principali che riguardano la gestione del demanio marittimo, la proroga automatica delle concessioni (ossia il diritto a sfruttare economicamente porzioni di spiaggia). L’altra, non meno importante, è l’incongruità dei canoni concessori: secondo uno studio di Legambiente (luglio 2021) più della metà del litorale sabbioso in Italia è sottratto alla libera fruizione. I canoni di concessione hanno fruttato nel 2019 un gettito nominale di 115 milioni di euro (a fronte di un riscosso pari a 83), ma, prendendo in considerazione gli ultimi 15 anni, l’erario vanta un credito nei confronti dei balneari di circa 230 milioni di euro.

Il loro giro di affari, invece, è stimato appunto in 15 miliardi di euro all’anno. Il primo nodo, tuttavia, è quello più noto all’opinione pubblica perché alimenta da anni un contenzioso continuo, favorito dalla volontà di quasi tutta la classe politica di non modificare un assetto di gestione della costa consolidato almeno quanto le dinamiche di consenso che gravitano attorno al litorale italiano, una sorta di gallina dalle uova d’oro. D’altra parte gli operatori balneari sono organizzati – nel senso tecnico del termine – in una lobby molto efficiente e fino a ora non è mai successo che un partito o un esponente politico di primo livello abbiano preso a cuore il tema del riordino della materia nel senso auspicato dalla normativa europea. Anzi, la proroga automatica dello status quo è oramai la formula standard che viene varata in extremis per rinviare la risoluzione della vicenda. Si alternano i governi e le coalizioni ma la risposta è sempre la stessa: dalla Lega al Pd, passando per cespugli e il centrodestra tutto, non c’è alternativa allo spostare più avanti possibile sull’asse cronologico la proroga.

Il contrasto con il diritto dell'Unione Europea

Dal 2015 al 2020, da ultimo al 2033, data già individuata dal governo gialloverde e poi, con la situazione emergenziale legata alla pandemia, diventata ancor più la stella polare. Nel tempo, però, era già diventato sempre più stridente il contrasto di questa italian way rispetto al diritto dell’Unione Europea. Due le procedure di infrazione già aperte e una terza di là da venire: lettera di messa in mora della Commissione Europea (dicembre 2020) non lascia molto spazio all’immaginazione. Durante gli anni la Corte di Giustizia Europea, la Corte Costituzionale, il Consiglio di Stato, la Cassazione Penale, chiamate di volta in volta in causa, si sono pronunciate in maniera tale da creare una traccia molto chiara su quello che sarebbe il percorso da seguire: tra le altre cose è stato stabilito che la famigerata direttiva Bolkestein, che disciplina il regime dei servizi nel mercato comune, impedisce sul piano nazionale l’adozione di provvedimenti di proroga automatica. Il punto sul quale si è attestata la linea difensiva dei balneari e di coloro che delle loro esigenze si sono fatti interpreti è quindi stato individuato nella diretta applicabilità o meno della direttiva, in mancanza di una norma nazionale di recepimento. Il che equivale a dire: siamo consapevoli che siano necessarie gare di evidenza pubblica, ma poiché l’ordinamento interno non ne stabilisce in maniera chiara le modalità, si deve definire un regime transitorio che tuteli gli investimenti e il lavoro di chi già c’è.

Tutto si tramanda "in famiglia" senza nuovi imprenditori

E, va aggiunto, in molti casi c’è da sempre secondo un principio di successione “ereditario” che impedisce di fatto l’accesso alla gestione dei servizi balneari a nuovi soggetti (magari giovani imprenditori italiani o imprese di altro Paese). Il conflitto tra l’orientamento giurisprudenziale maggioritario e la realtà ha portato, più di recente, alla deflagrazione di due casi che costituiscono le premesse dell’Adunanza plenaria di oggi. Il primo si riferisce al Comune di Lecce che ha opposto un diniego alla richiesta di proroga al 2033 presentata dai concessionari, proponendo invece una proroga tecnica di tre anni nell’attesa di una definizione senza più ambiguità della materia a livello nazionale. I balneari sono saliti sulle barricate, hanno presentato ricorso al Tar Puglia (sede di Lecce) e lo hanno vinto grazie a una sentenza che da una parte mette in dubbio il fatto che la direttiva Bolkestein sia applicabile al demanio marittimo, dall’altra stabilisce che una norma interna contraria al diritto gerarchicamente superiore, cioè quello europeo, possa essere disapplicata solo da un giudice e non da un funzionario pubblico.

Questa interpretazione è minoritaria: già diverse sentenze – Consiglio di Stato e Corte Costituzionale, per esempio – hanno disposto in senso contrario, tanto che gli altri tribunali amministrativi regionali, investiti del contenzioso tra pubbliche amministrazioni e titolari di concessioni, si sono mossi nella direzione contraria a quella del Tar di Lecce. Così, ad esempio, ha fatto il Tar Sicilia (sezione di Catania) che ha ritenuto del tutto legittimo il diniego opposto dall’Autorità di Sistema Portuale dello Stretto a due richieste di estensione temporale della concessione. In maniera sempre più incisiva è intervenuta anche l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, anche impugnando, come in Toscana, atti amministrativi relativi alla proroga automatica delle concessioni marittime che hanno finalità turistico-ricreative. La decisione del presidente Filippo Patroni Griffi di convocare una adunanza plenaria del Consiglio di Stato per decidere dei rispettivi ricorsi è dunque palesemente indicativa della volontà di addivenire a un pronunciamento che disinneschi questa polveriera. L’orientamento “solenne” del Consiglio di Stato è atteso anche dal governo Draghi che, anche sul tema della concorrenza, deve dare delle risposte alle istituzioni europee nell’ambito del pacchetto di riforme preteso – alcune prima, altre dopo – in cambio del fiume di denaro in arrivo per il rilancio dell’economia. La partita, in realtà, è più politica che giuridica. Considerando che, come detto, nessuna forza parlamentare né di sinistra, né di centro, né di destra, salvo alcune voci di stampo riformista ed europeista, ha mai dato priorità alla questione, ritenendo più utile il mantenimento dello status quo e rallentando ogni tentativo di riforma, non si può affatto escludere una soluzione che salvi capre e cavoli, oppure addirittura un rinvio alla Corte Costituzionale (o alla Corte di Giustizia Europea).

Insomma, la pressione è forte e gli interessi in gioco vanno ben oltre una disquisizione sulla dottrina. Il verdetto secco sui ricorsi potrebbe filtrare già dopo l’udienza, ma per la sentenza e quindi per l’articolato delle motivazioni bisognerà attendere settimane. I balneari hanno schierato l’artiglieria pesante, intervenendo nel procedimento praticamente con tutte le associazioni di categoria oltre a una lunga lista di singole imprese.

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