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Mercoledì, 24 Aprile 2024
L'intervista

Più aggressivi e incapaci di esprimersi: l'identikit dei giovani online

"La fuga in mondi artificiali non potrà rendere né più liberi né più felici": così a Today.it l'antropologa Carla Ricci, esperta del mondo hikikomori

Giorno dopo giorno la tecnologia sta prendendo sempre più spazio nelle nostre vite, facendoci immaginare un futuro nel quale le auto si guideranno da sole, gli abiti ci diranno se siamo in salute, le case saranno sempre più intelligenti. Ci saranno robot che andranno a fare la spesa al posto nostro, che ci aiuteranno nelle pulizie domestiche e nella cura delle persone. L’intelligenza artificiale, la robotica e la realtà virtuale si stanno dimostrando un valido aiuto per l’uomo ma ci sono dei lati negativi da non sottovalutare, dei veri e propri rischi per l’umanità. Primo tra tutti la difficoltà di socializzazione tra i giovani. Le nuove generazioni appaiono sempre più impegnate a trascorrere il loro tempo libero su smartphone e pc, per alcuni di loro questi dispostivi rappresentano l’unico modo per interfacciarsi con il mondo esterno. C’è poi chi con il mondo reale non vuole avere più nulla a che fare, preferisce rifugiarsi nel virtuale, luogo molto più accogliente e meno sfidante rispetto alla dura vita quotidiana. Come la tecnologia sta cambiando la nostra società? Può minare lo sviluppo mentale delle nuove generazioni? Lo abbiamo chiesto a Carla Ricci, antropologa italiana che vive in Giappone e che svolge attività di ricerca presso il Dipartimento di Psicologia Clinica dell'Università di Tokyo.

Il fenomeno della cantante pop virtuale Hatsune Miku (un ologramma in stile manga che canta) sembra aver preso piede anche in Europa. L’interesse scaturisce dalla novità oppure qualcosa sta cambiando all’interno della nostra società?

“È una novità consona ai tempi e non passerà di moda essendo una delle tante espressioni degli irreversibili cambiamenti in atto e che mostrano lo spazio sempre più potente che la tecnologia si sta prendendo in ogni contesto dell’esistenza”.

La tecnologia di ultima generazione, che interagisce sempre meglio con gli umani (anche a livello di gaming), può rappresentare un rischio per uno sviluppo mentale sano delle nuove generazioni?

“Credo proprio di sì e a confermarlo ci sono numerose e autorevoli fonti scientifiche. Sono molteplici le conseguenze che emergono fra cui disfunzioni delle attività cognitive - compreso quella del linguaggio -, affaticamento celebrale, livelli di aggressività superiori alla media e non credo che le cose si fermeranno qui. Il problema consiste anche nel fatto che i rischi vengono solo sussurrati e non “urlati al mondo” come dovrebbero”.

Secondo lei la tecnologia rappresenta un ostacolo o un aiuto alla socializzazione?

"Io ritengo che l’aiuto consista nel rendere più comoda l’esistenza anche se, parallelamente, le troppe comodità fanno dimenticare le gratificazioni e le motivazioni che solo lo sforzo può dare. Inoltre essa consente a tutti di accedere alla conoscenza e allo studio in libertà e indipendenza. Rispetto alla socializzazione non credo che la tecnologia sia un aiuto poiché ne cambia la sostanza. Il mondo virtuale nelle sue tante forme non può, infatti, definirsi reale ma digitale, indiretto e artificiale. Pertanto costituisce una realtà differente che modifica il modo di esperire le emozioni, le sensazioni e i sentimenti proprio perché non è la realtà “viva” che è l’unica fucina che consente all’uomo di formarsi come essere umano. Un banale esempio sono le relazioni sociali dirette verso le quali le nuove generazioni (ma non solo) sono sempre meno abili poiché abituate a gestirle indirettamente con i social network. In esse si naviga nella semplificazione. Intendo dire che online manca la complessità data da una miriade di circostanze che sono presenti invece nelle relazioni dirette e che sono sempre estremamente formative anche quando sembrano irrilevanti. Manca la presenza fisica dell’interlocutore, manca l’attenzione e il linguaggio più ricco e più articolato che è invece necessario nella realtà. Inoltre manca l’intuizione dello stato emotivo dell’interlocutore e di conseguenza il come adattarsi ad esso, manca il contesto ambientale che influenza la relazione e non di rado la coordina e spesso mancano anche le voci dei protagonisti anch’esse importanti".

Un giapponese è arrivato a ‘sposare’ l’ologramma della cantante virtuale Hatsune Miku. Una cosa del genere potrebbe accadere anche in Italia oppure sono cose che succedono solo in Giappone dove le relazioni interpersonali sono più difficili e ‘fredde’?

"Considero il Giappone una sorta di Paese precursore e non solo nella tecnologia ma anche in tanti fenomeni sociali e culturali; ci sono tanti esempi fra cui anime, manga ed anche hikikomori. Per il resto del mondo è solo questione di tempo, del resto ci sono già molti occidentali che individuano in un personaggio di anime la compagna ideale o la loro fidanzata. Si può iniziare così e fra smartphone, videogames, metaverso e tanto altro, forse si può cominciare a pensare che vivere con un delizioso ologramma potrebbe poi non essere così male ma comodo e suggestivo e si finirebbe per provarvi affetto".

Matrimoni con ologrammi, relazioni amorose virtuali che restano sempre e solo dietro lo schermo di un pc, sono tutti sintomi di una società malata che rifiuta sempre più spesso i rapporti sociali? Perché si fa sempre più fatica ad affrontare le difficoltà?

"Penso che l’immersione virtuale piuttosto che sintomo sia una causa della malattia. Questo perché disertare la realtà vera e le sue difficoltà significa allontanarci dal naturale impulso che sprona ad andare avanti, a sperimentare e a sfidarsi. La fuga in mondi artificiali non potrà rendere né più liberi né più felici. La strada è però segnata tuttavia la buona notizia è che ogni uomo può scegliere come percorrerla. Ciascun può lasciarsi trascinare dalla corrente oppure può lottare per trovare la propria direzione e seguirla con coerenza. E tutto potrebbe cominciare davanti a un bel tramonto quando non si sentirà più l‘impulso compulsivo di un click digitale ma solo il desiderio di godersi un fremito d’immenso. Chi vuol ritrovarsi, chi vuole continuare a riconoscere la terra come il suo vero luogo, chi vuole saper pensare all’infinito e cercare verità che l’inconscio è pronto a svelare, lo potrà sempre fare. C’è molto da dire a questo proposito ed io vi ho dedicato un libro che, se me lo consente, vorrei citare. Il titolo è L’invisibile protagonista, è la vera storia di un uomo ma anche la storia di tutti noi, più che mai vera".

A che punto siamo sull'intelligenza artificiale "umanoide"

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