"Vi spiego perché nelle terapie intensive siamo messi peggio che nella prima ondata"
Le regioni più svantaggiate in affanno e le difficoltà organizzative delle direzioni aziendali. L'allarme lanciato da Flavia Petrini, presidente degli anestesisti, che propone un "cruscotto" di dati per tenere sotto controllo a livello nazionale la situazione nei reparti di rianimazione
La fotografia sulle terapie intensive negli ospedali italiani scattata dall'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) non è confortante: sono nove le regioni che hanno raggiunto o superato la soglia critica del 30% dei posti letto in rianimazione occupati dai pazienti covid, secondo i dati aggiornati al primo marzo. I parametri di questa soglia sono stati fissati dal decreto del ministro della Salute del 30 aprile 2020. La situazione più difficile per quanto riguarda la pressione sugli ospedali a causa del nuovo aumento dei casi di coronavirus si registra in Umbria (dove il 56% dei posti letto in terapia intensiva sono occupati dai malati covid), in Molise (49%) e nella provincia autonoma di Trento (47%). Seguono poi Abruzzo (40%), Friuli-Venezia Giulia (35%), Marche (32%), Emilia-Romagna (31%), Lombardia (31%), provincia autonoma di Bolzano (31%) e Toscana (30%).
A livello nazionale la media di occupazione dei posti letto nelle rianimazioni è del 25%, come scrive l'Agenas nel monitoraggio pubblicato sul suo sito. Non sono invece lontane dalla soglia critica Piemonte (28%) e Puglia (29%), anche se quest'ultima è scesa dell'1% rispetto al precedente monitoraggio. Le situazioni migliori al momento si hanno in Sardegna e Basilicata (9%), Valle d'Aosta (10%) e Veneto (11%).
"Ecco perché nelle terapie intensive siamo messi peggio che nella prima ondata"
Flavia Petrini, presidente della Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva (Siaarti) e componente del Comitato tecnico scientifico, commenta questi dati all'Adnkronos Salute e traccia un quadro a tinte fosche. Secondo l'esperta la situazione attuale è addirittura peggiorata rispetto a quella della primavera scorsa. "Nelle terapie intensive italiane la situazione è peggiore rispetto alla prima ondata - spiega - . Questo non solo perché sono di più le regioni in affanno. Nella prima fase della pandemia il dramma ha riguardato regioni che partivano da un'organizzazione di prima classe, ora sono coinvolte aree più sfortunate per quanto riguarda il numero degli operatori sanitari disponibili. E non tutte le direzioni aziendali sono altrettanto rapide e pronte nel prendere decisioni".
Le terapie intensive in situazione critica in questa fase, ribadisce Flavia Petrini, "sono diffuse in zone meno attrezzate e con livelli organizzativi sulle reti delle terapie intensive che già erano in affanno prima della pandemia. Con la velocità con la quale si sta diffondendo il contagio la preoccupazione è elevata", aggiunge l'esperta. Anche la possibilità per gli anestesisti rianimatori di andare a supporto di un reparto all'interno della stessa regione "è più difficile nelle regioni dove per caratteristiche geografiche o per la carenza di infrastrutture, come accade in molte aree del Sud, spostarsi è complicato e anche per i professionisti aiutarsi l'uno con l'altro diventa quasi impossibile".
Come valutare meglio la situazione delle terapie intensive
La Siaarti ha proposto alle istituzioni sanitarie uno strumento per valutare meglio, in tempo reale, la situazione delle terapie intensive considerando i livelli critici non solo in base all'occupazione dei posti letto, ma anche rispetto alla gravità dei pazienti e alle conseguenti necessità assistenziali. Tutto grazie a un pacchetto di dati, una sorta di "cruscotto", in grado di fornire una fotografia in tempo reale, insieme alla previsione della durata dei ricoveri: informazioni di grande importanza in pandemia. "L'ideale per tenere sotto controllo a livello nazionale e in modo omogeneo la situazione delle terapie intensive - precisa Petrini - sarebbe proprio avere un cruscotto, come succede in Germania. Attualmente la soglia critica è dichiarata dalle direzioni delle aziende sanitarie che indicano, però, solo quanti letti sono occupati, non ci sono elementi clinici, non ci sono sfumature. Può accadere, per esempio, che una terapia intensiva abbia meno pazienti di un'altra ma con complessità maggiori da gestire, una situazione che, nella realtà, è di maggiore criticità ma non emerge".
L'obiettivo di rianimatori e anestesisti è quello di creare uno strumento più "sensibile" che superi anche il problema dei sistemi di rendicontazione differenti da parte delle regioni "e che possa, finita l'emergenza, rimanere strutturale", dice Petrini. Il cruscotto dovrà contenere "indicatori precisi sull'andamento clinico dei pazienti, che significa anche che tipo di impegno del personale si rende necessario, oltre a permettere proiezioni di durata della degenza", conclude.