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Giovedì, 28 Marzo 2024

Violetto Gorrasi

Giornalista

Non ce n'è pressione?

"Non ce n'è coviddi", diceva una. "Non ce n'è pressione (sulle terapie intensive)", dice l'altro. Il problema serio è che la prima è una casalinga palermitana diventata tristemente nota per un tormentone demenziale, l'altro è il commissario per l'emergenza coronavirus scelto a marzo da Giuseppe Conte. Lungi da noi voler istituire un paragone tra due personaggi antropologicamente e oggettivamente lontani anni luce, ma quell'affermazione fondata su una negazione che a molti sembra essere infondata lascia basiti.

Il commissario Arcuri e la pressione che non c'è

Le terapie intensive reggono ancora l'impatto della seconda ondata di coronavirus. Ne è sicuro Domenico Arcuri, commissario dei banchi a rotelle rimasti ad ammuffire nelle scuole chiuse. E ha cercato di spiegarlo così con i dati pochi giorni fa: "In Germania a marzo c'erano 30mila posti di terapia intensiva, sei volte di più che in Italia, dove erano 5mila; al picco abbiamo avuto nel nostro Paese circa 7mila pazienti in rianimazione, duemila di più della totale capienza dei reparti. Oggi abbiamo circa 10mila posti di terapia intensiva e arriveremo a 11.300 nel prossimo mese. Attualmente ci sono circa 3.300 ricoverati in terapia intensiva (per coronavirus, ndr), quindi la pressione su questi reparti non c'è".

Ma è davvero così? Secondo l'ultimo bollettino dell'epidemia, oggi i pazienti ricoverati in terapia intensiva sono 3.612 (+120 rispetto a lunedì). Il numero che viene riportato nel bollettino, peraltro, non si riferisce in realtà agli ingressi nei reparti, ma al saldo tra i pazienti che entrano e quelli che escono per guarigione o decesso. Secondo molti studiosi il dato degli ingressi al netto delle uscite rappresenterebbe un dato molto utile per valutare la gravità dell’epidemia, ma finora il ministero della Salute non l’ha mai fornito. E quella che negli ultimi giorni alcuni definiscono "poca pressione", "rallentamento o frenata", guardando i dati è - ahinoi - soltanto una ridotta velocità con cui sale la curva dei contagi e dei ricoveri in rianimazione. Senza allarmare, ma con senso della realtà: l'epidemia non rallenta

Parlare di poca pressione sulle terapie intensive con un aumento degli accessi di cento e più pazienti al giorno appare decisamente azzardato, per non dire fuorviante. Ma c'è di più. Perché Arcuri sembra dimenticare che con un decreto del 30 aprile scorso il ministero della Salute ha fissato una soglia di saturazione al 30% dei posti letto di terapia intensiva occupati da pazienti Covid-19, perché i 10mila (?) posti in rianimazione NON sono tutti destinati alle persone positive al virus e in situazione grave. Ci sono anche gli altri malati, no?

Le regioni oltre la soglia critica per i posti in terapia intensiva

Questa soglia, definita critica dallo stesso ministero, è stata ormai ampiamente superata in molte regioni. Stando ai dati elaborati dall'Agenas, l'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (e aggiornati al 10 novembre), la media italiana è infatti salita rapidamente negli ultimi giorni attestandosi al 37%, ma è allarme rosso in undici regioni e nelle due province autonome del Trentino Alto Adige, che l'hanno ampiamente superata. In cima alla "lista nera" l'Umbria che ha toccato ormai il 57% di saturazione dei suoi posti letto di intensiva, seguita da Piemonte (56%), Provincia autonoma di Bolzano e Lombardia al 54%. Qui il livello di guardia è stato raggiunto o superato. Ma non ce n'è pressione, vero Arcuri?

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