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Sabato, 20 Aprile 2024
Colpevoli ritardi / Trapani

Terremoto del Belice, per la ricostruzione 54 anni non bastano

Nel gennaio del 1968 una vastissima area tra le province di Palermo, Trapani e Agrigento viene rasa al suolo: i morti sono centinaia, gli sfollati oltre centomila. Ritardi e cattiva gestione delle risorse hanno rallentato i lavori post sisma, che non sono ancora finiti

Il 1968 è appena iniziato quando un violento terremoto sconvolge la Sicilia devastando il Belice -area compresa tra le province di Palermo, Trapani e Agrigento - e oggi, 24 marzo 2022, la ricostruzione post sismica non è conclusa. Tutt'altro. A distanza di 54 anni, quando ormai la catastrofe del Belice viene studiata sui libri di storia, da un lato paghiamo ancora le accise per gli interventi da effettuare e dall'altro vengono stanziati nuovi fondi (17 milioni) per la riqualificazione urbana. I lavori infatti non sono mai terminati. Molti dei sopravvissuti non sono rimasti in vita abbastanza per potere rivedere i loro paesi rinascere del tutto. Contrasti istituzionali, cattiva gestione delle risorse, errori e speculazioni hanno reso pochi quasi 60 anni. E chissà quanti ancora ne serviranno, dal momento che si tratta di uno stanziamento fondi per opere che dovranno essere compiute.

Una scossa dopo l'altra trema la Sicilia

Quando parliamo del terremoto che ha colpito tre province della Sicilia occidentale non facciamo riferimento a una sola, devastante scossa, ma a quella che i sismologi chiamano una "sequenza" in un’area ritenuta non sismica dalle conoscenze scientifiche del tempo. In dieci giorni scossa dopo scossa vengono distrutte 9.000 case, antiche chiese, palazzi nobiliari e castelli. Si contano 231 vittime ufficiali e oltre 100.000 senzatetto, 12.000 dei quali emigrano quasi subito verso il Nord. Bilanci non ufficiali sono ben peggiori.

Come ricostruisce l'Invg (Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia) la sequenza inizia nel pomeriggio del 14 gennaio 1968 con una prima forte scossa alle 13:28 locali. Nelle cittadine di Montevago, Gibellina, Salaparuta e Poggioreale, ma anche a Santa Margherita Belice, Menfi, Roccamena e Camporeale si segnalano danni. Meno di un’ora dopo, alle 14:15, nelle stesse località c'è un'altra scossa molto forte, sentita anche a Palermo, Trapani e Sciacca. Due ore e mezza più tardi, alle 16:48, la terza scossa: danni gravi a Gibellina, Menfi, Montevago, Partanna, Poggioreale, Salaparuta, Salemi, Santa Margherita Belice e Santa Ninfa. Lesioni di varia entità feriscono edifici di Alcamo, Calatafimi, Camporeale, Corleone e Roccamena. Anche a Palermo si segnalano danni. 

Il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, all’epoca comandante dei carabinieri di Palermo, visitando nel pomeriggio del 14 gennaio i centri più colpiti, raccomanda alla popolazione di pernottare all’aperto. Nella notte tra il 14 e il 15 gennaio, alle 2:33 locali, la terra trema ancora e provoca gravissimi danni e il crollo di alcuni edifici a Poggioreale, Gibellina, Salaparuta, Montevago e Santa Margherita Belice. Anche a Contessa Entellina e Corleone ci sono danni rilevanti. Viene sentita a Palermo, a Trapani e in tutta la Sicilia occidentale e centrale, compresa l’isola di Pantelleria. La scossa più forte dell’intera sequenza alle 3:01. E' il disastro. I danni sono incalcolabili. salaparuta crolli ingv-2

Uno scenario apocalittico

Il terremoto interessa quasi tutta la zona collinare della Sicilia sud occidentale: circa 6.200 chilometri quadrati. I paesi di Gibellina, Poggioreale e Salaparuta, in provincia di Trapani, e Montevago, in provincia di Agrigento, sono quasi totalmente rasi al suolo. A Gibellina cadono tutte le case, 1.980 edifici. Devastati  anche i comuni di Poggioreale e a Salaparuta. A Montevago resta al suo posto solo l'1 per cento delle costruzioni. Quel che si era salvato scompare con la scossa del 25 gennaio. Gibellina, Montevago e Salaparuta diventano inaccessibili. Paesi fantasma. Decine di centri però subiscono danni. Chi in misura maggiore, chi meno. Nessuna area esce indenne. Le infrastrutture, già carenti, diventano inesistenti.  Quello del Belice è il primo terremoto visto dagli italiani attraverso la televisione. Un'area finora  remota del Sud arriva sotto gli occhi di tutti, emerge tutta la sua drammatica arretratezza. 

Una catena di errori e ritardi

Alla tragedia del terremoto segue una gestione caotica, disorganizzata, imprecisa dell'emergenza. Poi, quando interviene la burocrazia e si deve dare una cornice agli interventi, la situazione peggiora ulteriormente. Parliamo di eventi lontani nel tempo, ma il fatto che ancora oggi vengano stanziati fondi per la ricostruzione la dice lunga. 

I primi ritardi nei soccorsi sono causati anche dal susseguirsi delle scosse, in quella del 25 gennaio per esempio sono morti due vigili del fuoco impegnati nelle operazioni di soccorso. Poi però ritardi e confusione sono di natura umana, politica. La popolazione venne alloggiata in baraccopoli, distribuita in vari punti della valle ricalcando quanto più possibile la distribuzione geografica dei vecchi paesi. Si tratta di "scatole" in lamiera, sovraffollate, e le condizioni di vita diventano insostenibili. Sciascia firma un reportage per il quotidiano L'Ora in cui equipara le baraccopoli ai "più efferati ed abbietti campi di concentramento". Stremati, gli abitanti danno vita a forme di protesta e disobbedienza civile supportate dagli attivisti del Centro studi di Dolci. Nel 1975 un’inchiesta interna del ministero dei Lavori pubblici mette in evidenza in modo inequivocabile le molte lacune della ricostruzione. Solo alla fine degli anni Settanta vengono completate le prime abitazioni in muratura. Nasce una commissione d’inchiesta parlamentare, i risultati vengono resi pubblici nel 1982: "Non è stato realizzato assolutamente nulla nel campo delle iniziative produttive". L'amara conclusione: la Commissione non può "esimersi dal rilevare il perpetuarsi delle condizioni di arretratezza dell’economia locale, che fanno della Sicilia occidentale una delle zone più depresse dell’Italia".  

Il finanziamento dopo 54 anni

Il coordinatore dei sindaci dell'area del Belice, Nicolò Catania, annuncia oggi che sono in arrivo 17 milioni per la riqualificazione urbana post sisma. Il dipartimento regionale tecnico della Regione Siciliana ha infatti dato il via al Piano di interventi infrastrutturali per la riqualificazione urbana delle aree che furono interessaten dal sisma. E' stato quindi chiesto ai Comuni, che nel frattempo avevano già stilato e trasmesso un elenco di opere pubbliche da finanziare, di comunicare i progetti esecutivi per l'immediato finanziamento e "quelli relativi ai servizi di ingegneria e di architettura necessari per diventare anch'essi esecutivi e cantierabili".

I progetti si suddividono in quelli con priorità P1 (assoluta) di livello esecutivo e immediatamente cantierabili per un ammontare di 4.216.711,16 euro, in quelli con priorità P1 di livello definitivo, e quindi necessari di finanziamento per la progettazione esecutiva, per un ammontare di 13.535.44,28 euro, e in altri ancora con priorità P1 di livello definitivo per un ammontare complessivo di 5.167.042,16 euro che faranno parte di un prossimo programma di finanziamento.

"Siamo particolarmente soddisfatti per l'impegno mantenuto dal presidente Musumeci dopo l'incontro del 13 gennaio - dice Nicolò Catania -. Nonostante la competenza di questi interventi sia in capo allo Stato, questo sostegno che arriva dalla Regione è un segnale importante che va nella direzione di un'auspicata sinergia con l'Amministrazione regionale. Adesso la Regione affianchi le rivendicazioni del territorio belicino nei confronti dello Stato, ancora oggi colpevolmente in silenzio".

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