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Giovedì, 25 Aprile 2024
Un incubo

Perché rischiamo una terza ondata di coronavirus

"Anche se oggi avessimo un lockdown nazionale, poi a Natale si aprirebbe di nuovo tutto e a febbraio ci ritroveremmo in emergenza", dice Andrea Crisanti. Anche Luca Richeldi del Cts lancia l'allarme

Siamo in piena seconda ondata e già la terza è dietro l'angolo, almeno secondo diversi esperti e scienziati. Questo nuovo preoccupante scenario è stato tracciato da Andrea Crisanti, professore ordinario di Microbiologia dell'Università di Padova durante la trasmissione Agorà, su Rai 3.

"Il vero obiettivo che dovremmo avere ora è mettere in atto misure per evitare la terza ondata - ha detto Crisanti -. Se ora facciamo un lockdown estremamente rigido di 6-7 settimane, poi a ridosso di Natale i casi saranno diminuiti e ci saranno mille pressioni per rimuovere le misure, perché tutti vogliono andare in vacanza, a pranzo fuori o a trovare amici fuori regione, e a febbraio staremo di nuovo in questa situazione. La vera sfida in questo momento quindi è trovare una strategia per evitare la terza ondata".

Il pericolo di una terza ondata di coronavirus a febbraio

Nessun reset, ha sottolineato Crisanti, "fa effetto se non abbiamo un piano per evitare che i casi risalgano e per consolidare i risultati che otteniamo. Qualsiasi misura di restrizione prima o poi farà effetto, ma non si può andare avanti così per mesi e mesi. L'agenda politica dovrebbe essere quella di preparare un piano nazionale per consolidare i risultati di queste nuove misure di restrizione. Altrimenti a febbraio saremo di nuovo in questa situazione, a meno di non avere il miracolo di un vaccino distribuito a tutti nei primi mesi dell'anno. Cosa che, obiettivamente, non ritengo che sia possibile".

"Restano mille posti in terapia intensiva, saranno pieni in 10 giorni"

Crisanti però sottolinea che ad oggi ci sono meno di mille posti in terapia intensiva. Anche se ieri la crescita del virus ha segnato un leggero rallentamento, la situazione negli ospedali è critica: "Se si continua così in dieci giorni non ci saranno più posti in terapia intensiva". Sulla diminuzione di ieri dei casi Covid, ovvero 22mila, Crisanti commenta: "Se ieri fossero stati fatti 200mila tamponi, come la media della scorsa settimana, saremmo intorno ai 34mila contagi. Questo significa che abbiamo un leggerissimo rallentamento della crescita ma siamo sempre di fronte a numeri molto importanti con un numero crescente di persone che vanno in rianimazione".

Luca Richeldi e la seconda ondata di coronavirus

Il professore di Padova non è l'unico a parlare del pericolo di una seconda ondata di coronavirus in Italia. L'allarme è stato lanciato anche da Luca Richeldi, direttore dell'unità di Pneumologia del Policlinico Gemelli Irccs di Roma e componente del Comitato tecnico-scientifico. "Se i numeri saranno ingestibili allora bisogna pensare a misure più decise a livello nazionale, non un lockdown come quello di marzo ma a un intervento sostenibile a medio termine perché l’inverno è lungo e non si può escludere che poi ci sia anche una terza ondata del Covid - ha detto in un'intervista al Sole24Ore -. I numeri sono preoccupanti come quelli che si vedono in altri Paesi europei, ma possiamo provare ancora a gestire l'urto cercando di abbassare la pressione sugli ospedali".

Lockdown e poi allentamento: possibile nuovo picco a febbraio-marzo

Il pericolo è che con un lockdown di qualche settimana a partire da adesso e un conseguente allentamento delle misure nel periodo natalizio si rischierebbe un nuovo picco di contagi nei mesi di febbraio e marzo. "Non lo possiamo escludere perché abbiamo di fronte a noi tutto l'inverno mentre a marzo eravamo vicini all'estate. Per questo, per evitare di trovarci tra due o tre mesi di fronte a una terza ondata, dobbiamo fare interventi calibrati e proporzionati che siano sostenibili a medio-termine", dice Richeldi.

La terza ondata è già realtà negli Stati Uniti

Allargando lo sguardo all'estero, negli Stati Uniti si sta già assistendo alla terza ondata di contagi della pandemia di coronavirus. Secondo il New York Times, in Stati come l'Ohio e il Nord Dakota, le autorità sanitarie stanno registrando quantità di ricoveri ben più alti di qualsiasi altro momento della pandemia. Dallo scorso lunedì, in sedici Stati l'aumento dei casi registrato rispetto alla settimana precedente è stato il più alto nei confronti settimanali da marzo scorso. Questa nuova ondata non sta ancora portando a un aumento dei decessi, merito secondo il quotidiano americano anche di una capacità migliore di tracciare i contagi rispetto ai mesi scorsi.

Ma è sull'entità della pandemia stessa che arrivano nuovi dati dai Cdc, i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie. Secondo uno studio dei Cdc, negli Stati Uniti finora ci sarebbero stati almeno 300mila decessi rispetto all'andamento degli anni precedenti. Secondo gli esperti, la Covid-19 ha influito sull'incremento di decessi non registrati tra quelli legati al coronavirus. Tra i casi emblematici ci sarebbero quelli delle vittime di infarto, costretti ad evitare gli ospedali ingolfati da pazienti Covid. Dei circa 100mila decessi in più rilevati dai Cdc, il 95% riguarda anziani tra i 75 e gli 84 anni, circa il 21% in più rispetto alla media annuale americana. L'aumento anomalo di decessi più ampio però riguarda le persone tra i 25 e i 44 anni, di questi è morto il 26,5% in più.

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