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Venerdì, 19 Aprile 2024
L'indagine

Vaccini: chi ha pagato il conto

Tra investimenti in ricerca e contratti a scatola chiusa gli Stati hanno sborsato circa 30 miliardi di euro. Quasi il doppio delle stesse aziende farmaceutiche. A fronte di questi investimenti, siamo riusciti a strappare accordi vantaggiosi? Cosa dice lo studio redatto su richiesta del parlamento europeo

Chi ha pagato davvero i vaccini anti-Covid? A fare chiarezza sull'argomento è un meticoloso studio realizzato da Massimo Florio e Simona Gamba (Università di Milano) e Chiara Pancotti (Centre for industrial studies), redatto su richiesta del Parlamento europeo. Tra fondi per la ricerca e accordi di acquisto firmati prima che arrivassero le autorizzazioni dei diversi enti regolatori, i governi nazionali hanno elargito, secondo le stime, circa 30 miliardi di euro alle case farmaceutiche. La spesa di queste ultime è stata invece pari a 5 miliardi per la ricerca e sviluppo e di 11 miliardi per investimenti produttivi prima di avere certezza di vendita. Per un totale di circa 16 miliardi.

Il sunto dunque è che gli Stati nazionali si sono fatti carico, attraverso i soldi dei contribuenti, di coprire buona parte dei rischi per lo sviluppo e la produzione dei vaccini.

A scanso di equivoci va subito detta una cosa: se consideriamo qual è stato il costo della pandemia in termini economici (per avere un'idea sommaria si parla di almeno decine e decine di miliardi, solo per il nostro Paese) investire una certa quantità di soldi pubblici per avere dei vaccini efficaci, e averli nel più breve tempo possibile, è stata una scelta del tutto logica e di buon senso.

Fatta questa premessa è però lecito chiedersi se a fronte delle ingenti risorse investite, i governi nazionali siano riusciti a strappare accordi vantaggiosi con le aziende farmaceutiche e quali sono le lezioni che abbiamo imparato dalla pandemia. La risposta alla prima domanda (spoiler) è: probabilmente no. Ma su questo punto torneremo tra non molto.

Chi ha finanziato i vaccini anti- Covid

Per ora facciamo un passo indietro e vediamo nel dettaglio in che modo gli Stati hanno contribuito allo sviluppo dei vaccini. In breve, alle imprese sono arrivate sovvenzioni a fondo perduto di 9 miliardi per "ricerca e sviluppo" tra il 2020 e il 2021 di cui 8 finanziati dai governi di vari Paesi. Gran parte di queste risorse non sono state destinate alla ricerca in senso stretto, ma sono servite affinché le aziende potessero aumentare la loro capacità produttiva in vista dell'approvazione (che all'epoca non era affatto scontata) degli stessi vaccini. 

Per quanto riguarda i contributi in ricerca e sviluppo la parte del leone - in termini di investimento - l'hanno fatta gli Stati Uniti e, in misura minore, il governo britannico per il vaccino AstraZeneca e il governo tedesco per BioNTech-Pfizer. L'Ue, al contrario, si è quasi disinteressata della partita.

Quali Stati hanno finanziato di più la ricerca sui vaccini e l'aumento della capacità produttiva delle imprese farmaceutiche

In ogni caso il contributo pubblico è stato notevole. La media è di quasi un miliardo per ogni vaccino, anche se ci sono delle enormi differenze tra le diverse aziende: alcune hanno beneficiato di più fondi (come Astrazeneca, Novavax e Sanofi), altre ne hanno avuti meno.

I finanzimenti ricevuti dalle aziende

Sul caso di Pfizer è invece necessaria una piccola parentesi. Se è vero che il colosso statunitense ha rinunciato a qualsiasi tipo di contributo pubblico, è opportuno sottolineare che il vaccino Comirnaty è stato sviluppato in Germania da BioNTech. Uno degli autori dello studio, Massimo Florio, ha ricordato qualche giorno fa in un evento del "Forum Disuguaglianze", a Roma, che l'azienda tedesca "ha avuto non solo larghe sovvenzioni a  fondo perduto da parte" del governo di Berlino, ma ha potuto contare su "due finanziamenti di enorme importanza" di cui uno andato in porto già prima della pandemia. 

Non è tutto. Ci sono infatti i contratti di acquisto anticipati (advanced purchase agreements) ovvero gli accordi firmati con le aziende prima dell'autorizzazione dei vaccini stessi per una cifra che si aggira sui 21 miliardi di euro. In questo caso il contributo dell'Ue è stato simile a quello degli Stati Uniti. Si tratta di soldi che gli Stati hanno versato alle case farmaceutiche per prenotare le dosi, prima che fosse arrivato l'ok degli enti regolatori. Prendendosi un rischio. Tra fondi per la ricerca e contratti sottoscritti nei primi mesi della pandemia a scatola chiusa, la cifra totale dei finanziamenti pubblici si aggira intorno ai 30 miliardi di euro. 

I contratti di acquisto anticipati

E le aziende quanti soldi hanno investito? Secondo le stime (non ci sono dati certi) la somma spesa in ricerca e sviluppo per i nove vaccini oggetto dello studio si aggirerebbe intorno ai 4-5 miliardi di euro. A questi si aggiungono altri 11 miliardi di investimenti in vista della produzione. In questo caso, ha puntualizzato il docente autore della ricerca, il margine di incertezza è però "molto largo" e nell'ordine di 3 miliardi di euro. Certo è che un dato emerge in maniera piuttosto evidente: la maggior parte delle risorse messe in campo nel periodo più buio della pandemia è arrivato da contributi pubblici.

"Non abbiamo negoziato sulla cosa più banale: il prezzo"

E veniamo al dunque. Questi investimenti sono stati utili in sede di negoziazione? "La commissione europea ha acquistato i vaccini a mRNa probabilmente intorno ai venti dollari a dose" ha sottolineato Florio illustrando i risultati della ricerca, mentre "il costo di produzione marginale è intorno ai due dollari". Non solo. "Moderna e Pfizer - ha rimarcato il docente della Statale - hanno appena annunciato ai loro investitori che porteranno il prezzo intorno a 100-120 dollari a dose". Il che ci pone in una "situazione paradossale". Ovvero: "I negoziatori pubblici, di fronte a imprese che hanno avuto il rischio imprenditoriale coperto per oltre il 100% non hanno negoziato sulla cosa più banale: ovvero il prezzo del prodotto".

Inoltre, ha aggiunto Florio, "abbiamo dovuto rincorrere le imprese per vedere quanti vaccini avrebbero donato all'Africa e ad altri Paesi". Tutto ciò, ha puntualizzato il docente, è "senza senso" perché "anche un eventuale venture capitalist privato quando investe dei soldi mette delle condizioni".

Dove abbiamo sbagliato e cosa possiamo fare in futuro

La morale è che almeno a livello di Unione europea avremmo potuto fare di meglio. Almeno imponendo dei prezzi stabili per un lungo periodo. Cosa che non sembra essere avvenuta, per quanto i contratti siano sempre rimasti segreti. Quali sono dunque le lezioni da mettere a frutto per il futuro? Secondo gli autori dell'indagine, per prima cosa sarebbe fondamentale avere un quadro legislativo "che permetta ai negoziatori di avere delle linee guida" perché chi tratta con i colossi di Big Pharma non può sedersi al tavolo senza avere un perimetro che delimiti il suo campo di azione e le modalità con cui condurre la trattativa.

Punto due. Bisogna rivedere il ruolo di Hera, l'autorità istituita dalla commissione europea "per la risposta alle emergenze sanitarie" che secondo Florio non ha "gli stessi punti di forza in termini scientifici e di gestione di cui gode Barda", ovvero l'omologa agenzia statunitense. La parola d'ordine in questo caso è sburocratizzare.

Infine, terza linea d'azione, sul lungo periodo, sarebbe opportuno creare un'infrastruttura europea che si occupi di ricerca e sviluppo dotata di risorse e di "un'ambizione scientifica paragonabili" a quelle del National Institute of Health statunitense. Il problema, dice ancora il docente della Statale di Milano, è che bisogna uscire dalla "frammentazione" che c'è oggi e pensare a livello europeo.

Come facevamo notare sopra, a livello di ricerca e sviluppo i finanziamenti maggiori sono arrivati dagli Stati Uniti, mentre la Germania ha deciso di giocare una partita per conto suo e l'Ue non ha proprio toccato palla. Florio ha ricordato che il governo tedesco ha poi stanziato solo un anno fa, "2,9 miliardi per la futura preparazione a rischi pandemici" destinando i soldi a cinque imprese "scelte autonomamente da loro, al di fuori di qualsiasi procedura comunitaria". La dotazione di Hera oggi corrisponde ad appena un miliardo di euro. "Quindi - ha sintetizzato il docente - il governo tedesco da solo sta facendo molto di più della commissione europea".  

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