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Giovedì, 25 Aprile 2024
I fatti

Perché abbiamo vaccinato le persone sbagliate

Dalla priorità ai "servizi essenziali" alle anomalie nei dati del comparto sanità: gli errori del governo Conte e le fughe in avanti delle Regioni

Abbiamo (o stiamo) vaccinando le persone che non ne avrebbero bisogno? E se sì, a chi va attribuita la responsabilità? Ieri il presidente del consiglio Mario Draghi ci ha informato che sulle categorie che devono essere vaccinate prima di altre "Figliuolo (il commissario straordinario, ndr) uscirà ora con una direttiva". Draghi ha lanciato poi un duro monito alle Regioni: "Smettetela di vaccinare che ha meno di 60 anni, i giovani, gli psicologi di 35 anni, queste platee sanitarie che si allargano" e se l’è presa (sbagliando) con gli stessi cittadini. "Con che coscienza si salta la lista e ci si fa vaccinare? Questa è la prima domanda: con che coscienza la gente salta la lista sapendo che lascia esposto a rischio concreto di morte persone over 75 o persone fragili?".

Quella del premier è stata indubbiamente una gaffe: lo psicologo di 35 anni è infatti a tutti gli effetti un professionista e soprattutto, in base al decreto legge del 1° aprile firmato dallo stesso Draghi, se non si vaccinasse rischierebbe la sospensione. Al di là del caso specifico, il tema delle vaccinazioni a soggetti non a rischio esiste ed è dibattuto da settimane. Secondo le stime di Matteo Villa dell’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale), con i vaccini abbiamo finora "evitato 4.100 morti", ma se avessimo vaccinato prima le categorie a rischio, ovvero gli anziani, "ne avremmo potuti evitare 12.400".

Perché l'Italia è in ritardo sulle vaccinazioni agli anziani

L'Italia tuttavia ha scelto un’altra strada, ovvero quella di concedere una priorità pressoché assoluta ai lavoratori del comparto sanitario. Nel piano strategico "Vaccinazione anti-SARS-CoV-2/COVID-19" del 12 dicembre scorso venivano stabilite tre categorie prioritarie: operatori sanitari e sociosanitari, personale ed ospiti dei presidi residenziali per anziani e infine gli over 80. Nel piano veniva spiegato che "gli operatori sanitari e sociosanitari 'in prima linea', sia pubblici che privati accreditati, hanno un rischio più elevato di essere esposti all'infezione da COVID-19 e di trasmetterla a pazienti suscettibili e vulnerabili in contesti sanitari e sociali. Inoltre, è riconosciuto che la vaccinazione degli operatori sanitari e sociosanitari in prima linea aiuterà a mantenere la resilienza del servizio sanitario". Una decisione legittima che ha permesso di mettere in sicurezza gli ospedali, a scapito però degli anziani che erano e restano i soggetti più a rischio.

L’errore, se di errore si può parlare, è stato quello di non dettagliare a sufficienza le categorie di sanitari da immunizzare. Il risultato è che si è finito col vaccinare tutti i lavoratori del comparto, compresi i farmacisti, gli psicologi citati da Draghi e il personale delle pulizie. C’è inoltre il sospetto molto forte che parte delle dosi siano finite ai circa 350 mila addetti amministrativi della sanità pubblica o privata. Nonostante il piano iniziale prevedesse già che si vaccinassero tutti i lavoratori del comparto, il numero di dosi destinato alla sanità è continuato a lievitare. In totale il piano di Conte-Arcuri stimava gli operatori sanitari in 1,4 milioni, ad oggi, stando al contatore del Ministero della Salute, siamo a 3.105.317 dosi somministrate al personale socio-sanitario e altre 512.768 al personale non sanitario. Considerando anche i richiami (ammesso che siano stati già somministrati tutti), si tratta di almeno 1,8 milioni di persone immunizzate.

Ma chi finisce nel calderone del "personale non sanitario"? Il presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei medici, Filippo Anelli, ha chiarito che "si tratta dell’insieme di dipendenti delle strutture ospedaliere pubbliche che non sono né medici né infermieri: tutti gli amministrativi, le persone delle imprese di pulizia, gli addetti alla sicurezza e così via. Persone che rientrano nella categoria di massima priorità decisa giustamente dal governo a inizio campagna vaccinale".

Nei fatti dunque quella degli "operatori sanitari" è stata concepita come una categoria molto generica che ha finito per abbracciare tutti i dipendenti che gravitano attorno al comparto sanitario, a prescindere dall’età e dall’effettivo margine di rischio. Né va dimenticato che ad oggi più di 1,3 milioni di dosi sono andate a forze dell’ordine (240.946) e personale scolastico (1.088.883). Anche in questo caso il governo non ha dato indicazioni specifiche e così spesso e volentieri le Regioni hanno deciso di vaccinare tutti, indipendentemente dall’età o dall’effettiva mansione svolta (si vedano ad esempio i docenti non in servizio, i ricercatori e lo stesso personale amministrativo dell'Istruzione).

I dati "anomali" dalle Regioni

A ciò si sono aggiunte scelte discutibili dei vari governatori. E non mancano casi anomali sui quali si sta indagando. Secondo l'avvocato Antonio La Scala, coordinatore del Nucleo ispettivo regionale sanitario (Nirs) della Regione Puglia, nella prima fase della vaccinazione anti-Covid, su 135 mila vaccinazioni effettuate in Puglia tra i sanitari, dopo accurate verifiche su più elenchi, compresi quelli Inps, per ben 25 mila non si è riscontrata l'attribuzione corretta alla categoria. "Un dato che può essere traslato anche a livello nazionale se consideriamo che al 20 marzo risultavano vaccinati 2 milioni e 860 mila operatori sanitari e socio sanitari su 8 milioni di vaccinazioni totali, percentuali di oltre il 70% confrontabili con quelle pugliesi".

La Scala ha di recente reso noto che "al 15 febbraio in Puglia, a fronte di 190 mila somministrazioni di vaccini, circa 135 mila risultavano inoculati ad operatori sanitari e socio-sanitari. Un dato esagerato se si considera il numero degli appartenenti a questa categoria e anche il fatto che molti medici e altri professionisti sanitari non hanno ancora, ad oggi, avuto il vaccino". Sarebbero invece 25mila le persone vaccinate, ovvero una su cinque, che secondo La Scala "allo stato attuale" non risultano avere "una copertura come operatori sanitari".

Il caso AstraZeneca e i vaccini alle categorie dei "servizi essenziali"

Un altro pasticcio è nato con l’arrivo di AstraZeneca che inizialmente è stato somministrato su raccomandazione dell’Aifa (agenzia italiana del farmaco) solo alle persone di età compresa tra i 18 e i 55 anni. A inizio febbraio il ministero della Salute ha comunicato che dopo le modifiche al piano di approvvigionamento dei vaccini si era "reso necessario aggiornare le categorie target prioritarie e le fasi della campagna vaccinale". In questo documento era stata indicata un’ulteriore categoria prioritaria: quella dei "servizi essenziali". Se nel piano vaccinale del 12 dicembre si spiegava che "con l'aumento delle dosi di vaccino si inizierà a sottoporre a vaccinazione le altre categorie di popolazioni", fra le quali "anzitutto gli insegnanti ed il personale scolastico, le forze dell'ordine, il personale delle carceri e dei luoghi di comunità", nell’aggiornamento di febbraio, oltre alle categorie menzionate compariva, a parte, quella degli "altri servizi essenziali".

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Il 9 febbraio, le Regioni hanno chiesto al governo Conte di "chiarire in maniera più specifica quali sono i target prioritari da vaccinare con le dosi vaccinali disponibili e con riferimento alla categoria 6 (vaccini per i soggetti tra i 18 e 54 anni), nonché cosa si intende per servizi essenziali". Ma non risulta siano arrivate risposte. Così ogni governatore è andato per conto suo. Alcune Regioni hanno deciso di vaccinare in via prioritaria i magistrati e il personale della giustizia, ricomprendendoli proprio in questa categoria. È il caso ad esempio di Abruzzo, Toscana e Sicilia.

Il governatore abruzzese Marsilio ha replicato così alle critiche. "Abbiamo seguito le indicazioni del governo per le priorità del piano vaccinale. Quando il governo, a seguito delle decisioni AIFA, ha autorizzato Astrazeneca solo per gli under 55 (vietandolo per gli anziani, quindi) ci ha indicato alcune categorie prioritarie, tra le quali gli 'ufficiali di polizia giudiziaria'. A seguito di ciò, il Presidente della Corte d’Appello e il Procuratore Generale hanno evidenziato che tale qualifica è attribuita anche al personale in servizio presso la Magistratura. Non c’era motivo per non accogliere tale richiesta, come fatto per tutto il comparto delle forze dell’ordine e delle forze armate aventi pari qualifica".

Quella dei "servizi essenziali" del resto è una categoria talmente generica da poter ricomprendere quasi tutto. E così a volte le varie lobbies sono riuscite ad assicurarsi un posto al sole. In altri casi indicazioni specifiche sono arrivate proprio dal governo centrale. In una circolare inviata dal ministero dell’Interno ai Prefetti, si fa riferimento ad esempio, sulla base delle nuove indicazioni del Ministero della Salute, alla possibilità di vaccinare "il personale dell'Amministrazione civile dell'Interno in servizio presso le Prefetture, oppure "presso le articolazioni territoriali funzionalmente e gerarchicamente dipendenti dai Dipartimenti interessati". Nel frattempo l’uso di AstraZeneca era stato esteso prima alle persone fino a 65 anni e poi anche sopra questa fascia di età. Ma ormai le liste erano state compilate. 

Vaccini: il piano del governo Draghi

Quanto al governo Draghi, la bozza del primo documento che aggiorna il piano vaccinale in base alle nuovi dosi in arrivo, è datata 13 marzo. Nel documento non si fa più menzione dei "servizi essenziali" e vengono "identificate 5 nuove categorie prioritarie in base all’età e alla presenza di condizioni patologiche". E vale a dire:

  • Categoria 1: persone con elevata fragilità;
  • Categoria 2: persone di età compresa tra 70 e 79 anni;  
  • Categoria 3: persone di età compresa tra i 60 e i 69 anni;
  • Categoria 4: persone con comorbidità (ovvero più patologie pregresse) di età inferiore a 60 anni senza connotazione di gravità;
  • Categoria 5: resto della popolazione di età inferiore ai 60 anni.

Ma ormai il ritardo accumulato non era più recuperabile. Matteo Villa fa notare su Twitter che da quando si è insediato il governo Draghi "la quota di dosi che va a persone over-70 è cresciuta dal 25% al 72%" mentre "quella che va a persone over-60, dal 38% all'82%". Il dato è certamente corretto, ma è influenzato anche dal fatto che la vaccinazione delle altre categorie definite come prioritarie si è (ormai) quasi conclusa e il vaccino AstraZeneca ha tutt'altre raccomandazioni di età. Se però il premier ritiene che le Regioni stiano continuando a vaccinare troppi giovani a scapito degli anziani ha il dovere e il ruolo per intervenire imponendosi sui governatori. Quando si è al potere anche l'inazione diventa una colpa. 

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