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Sabato, 30 Settembre 2023
Nuovi focolai

La variante inglese in Italia "dominante a febbraio" e il mistero sul paziente zero

Il rischio c'è, secondo il virologo Fabrizio Pregliasco che esprime preoccupazione per la velocità di diffusione. Il caso di Guardiagrele in provincia di Chieti e l'impatto sul vaccino

I focolai nascono in maniera isolata ma sempre più frequente. E non si riesce a rintracciare l'origine, perché non è stato ancora trovato un link diretto con la Gran Bretagna o con un viaggio all'estero di una persona poi contagiata. In altre parole: non c'è un paziente zero e il virus mutato circola indisturbato. La variante inglese del coronavirus, caratterizzata secondo quanto evidenziato dal Regno Unito da una maggiore trasmissibilità, desta non poca preoccupazione tra gli esperti. "Cominciano a esserci segni della presenza della variante inglese di Sars-Cov-2 in Italia. Cominciamo a vedere alcune situazioni, dei Comuni con focolai significativi. Anche per noi la tempistica di diffusione potrebbe essere quella prevista dalle proiezioni in Francia" dove, secondo un report firmato fra gli altri dalla scienziata italiana Vittoria Colizza, si ipotizza che la variante inglese possa diventare dominante entro fine febbraio-metà marzo. "E potrebbe succedere anche da noi così". A esprimere preoccupazione per la velocità di diffusione della variante inglese e delle prospettive che anche in Italia possa correre è il virologo dell'università degli studi di Milano, Fabrizio Pregliasco.

La variante inglese e cosa sta succedendo a Guardiagrele (Chieti)

Qual è la situazione in Italia "non è perfettamente chiaro, sicuramente qui non c'è al momento un'attività di sequenziamento" sui campioni positivi "sistematica e massiccia come per esempio sembra esserci in Francia", spiega all'Adnkronos Salute. Ma casi come quello di Guardiagrele, in Abruzzo, dove sono stati rilevati diverse decine di contagi correlati alla variante inglese, "sono un segnale da non sottovalutare". "Anche perché in questo caso - prosegue Pregliasco - non è stato trovato un link con la Gran Bretagna o viaggi all'estero, manca ancora una volta il paziente zero. Considerata, come dicevamo, l'assenza di sistematicità dell'attività di sequenziamento nel Paese, può anche essere che la variante stia circolando indisturbata e non ne abbiamo contezza".

Ci sono la variante inglese di Sars-CoV-2 e un'altra già nota in Europa all'origine di numerosi contagi accertati in Abruzzo dal dicembre 2020. L'Istituto superiore di sanità ha confermato ciò che era già emerso dagli accertamenti del Laboratorio di genetica molecolare dell’Università di Chieti. Il numero complessivo dei casi, però, sarebbe maggiore. L'Istituto zooprofilattico di Abruzzo e Molise (Izsam) ha infatti individuato 51 contagi per la provincia di Chieti riconducibili alla cosiddetta variante inglese. Ed è proprio in provincia di Chieti, a Guardiagrele (880 abitanti), che la variante è stata particolarmente efficace.

"Al momento siamo a quota 111 contagi, sebbene da una settimana il dato si sia stabilizzato. Il boom di positivi - ha spiegato il sindaco Donatello Di Prinzio all’Adnkronos - è avvenuto a cavallo tra dicembre e gennaio, in concomitanza con le festività natalizie, ed è stato piuttosto circoscritto ai nuclei familiari, a differenza di quanto accaduto tra ottobre e novembre, quando il virus era sparso sul territorio. Nessuno di questi è tornato dall’estero o ha avuto contatti con gente che lo ha fatto, sarà un contagio di seconda mano, per questo non si riesce a trovare l’origine. In questo periodo, con la chiusura totale delle famiglie in quarantena, la diffusione si è calmata. Con lo screening di massa e le attenzioni se ne esce, sono fiducioso". Il sindaco ha annunciato che giovedì "iniziamo a fare i tamponi alle scuole superiori, mentre sabato e domenica facciamo lo screening di massa a gran parte della popolazione per cercare di bloccare eventuali asintomatici e le persone di contatto".

Sono sette, al momento, i ricoverati all'ospedale di Chieti. "Tra questi - dice il sindaco - anche lo zio di mia moglie, 80 anni, che sta con il casco per le difficoltà respiratorie, pur non avendo febbre, così come la figlia, mentre la moglie, pure positiva, sta a casa ma si sente solo debole e stanca".

Cosa fare? "È fondamentale aumentare il sequenziamento, dobbiamo usare l'epidemiologia molecolare come un elemento fondamentale per tracciare l'evoluzione e la catena di contagio - avverte il virologo Fabrizio Pregliasco -. Serve un network istituzionalizzato. In Italia ci stiamo ancora organizzando e c'è carenza di questa attività. Ma da parte dei laboratori c'è stata una richiesta di aiutarci con finanziamenti ad hoc per avere una rete più strutturata. Anche l'Istituto superiore di sanità (Iss) è propenso a spingere in questa direzione. Perché oggi vediamo questi focolai che nascono così in maniera isolata, ma se incontrollati potrebbero spingere ancora una volta in alto i numeri".

L'impatto della variante inglese sul vaccino

Andrea Crisanti, direttore del laboratorio di microbiologia e virologia dell’Azienda ospedaliera/Università di Padova, ha messo in guardia proprio su questo tema, spiegando l’assoluta necessità di vaccinare il più velocemente possibile, perché "più il virus si trasmette più genera mutazioni": "La variante inglese si trasmette sicuramente in modo molto più efficiente. Non ci sono abbastanza dati che dimostrino che dia sintomatologia più grave. Tuttavia, il fatto che si trasmetta più velocemente ha un grande impatto sul vaccino e preoccupa, perché alza la soglia dell’immunità di gregge. Con la variante inglese per avere l’immunità di gregge si dovrebbe vaccinare il 90% della popolazione anziché il 70-75%. È un problema sia logistico, sia legislativo - ha spiegato a Piazzapulita su La7 - perché si dovrebbe imporre l’obbligatorietà del vaccino per raggiungere quei livelli. Purtroppo non c’è modo di fermare la variante inglese in questo momento, a meno che non blocchiamo la trasmissione del virus con il lockdown. In caso contrario, prima o poi entrerà in Italia. La strategia delle zone colorate non è sicuramente la strada per arrivare al controllo dell’epidemia".

"Non è mai accaduto nella storia che si vaccina mentre c’è trasmissione di un virus. Quindi, bisogna ridurre il numero dei positivi, perché solo così diminuisce la probabilità che si generino varianti resistenti. Basterebbe fare un reset di 3-4 settimane per vaccinare più persone possibile".

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