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Giovedì, 25 Aprile 2024
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Perché il Veneto rischia la zona arancione dal 7 gennaio

Ieri ancora un alto numero di positivi e tanti decessi. Ma soprattutto il governo pensa di cambiare la classificazione della regione. Perché l'indice del contagio è in crescita. E i posti in terapia intensiva sono sotto la lente

Il Veneto è ancora il grande malato di coronavirus d'Italia. Ieri nella regione governata da Luca Zaia si sono registrati altri 2655 casi di positivi per un totale di 246089 dall'inizio dell'emergenza ad oggi. Praticamente invariato il numero dei ricoverati: 3.395 (+1 nelle ultime 24 ore). Record di decessi invece, 191 (risultato di decessi registrati nelle ultime 24 ore ma anche di un aggiornamento di dati risalenti ad alcuni giorni fa), che porta il totale dei decessi a 6.298 dal 21 febbraio ad oggi.

Perché il Veneto rischia la zona arancione dal 7 gennaio

Il dato odierno sui morti per Covid in Veneto, che fa registrare 191 decessi, "sembra da record ma molte vittime sono state "caricate" nel sistema a distanza di giorni", ha precisato l'assessora veneta alla Sanità Manuela Lanzarin nel punto stampa nella sede della Protezione Civile di Marghera. Ma il rischio adesso, spiega oggi Il Giornale, è che se il Veneto finora ha tenuto, nella partita con il governo sospesa il 23 dicembre, da giallo possa passare arancione.

L’Istituto superiore di Sanità ha evidenziato come nove regioni siano a rischio moderato o alto. Tra queste spicca il Veneto, con i suoi attualmente 90.365 positivi e 149.426 guariti, oltre a Liguria, Marche, Puglia, Umbria, Emilia Romagna, Molise, Provincia autonoma di Trento e Valle D’Aosta. Motivo? L’Rt è troppo alto. Il Veneto con l’ultimo 1,11 rischia veramente un altro colore e quindi il declassamento.

D'altro canto il ritorno del sistema delle zone era stato annunciato nei giorni scorsi anche dal ministro della Salute Roberto Speranza, mentre la tesi di un Veneto in cui si trovano più positivi perché si fanno più test è stato rigettato da Andrea Crisanti, che con la giunta Zaia e i suoi esperti ha da tempo un conto aperto, insieme alla tesi della variante inglese: "Il Veneto sinora ha fatto 36 sequenze complete" del virus "e nessuna corrisponde alla variante inglese. Poi se sono stati sequenziati 'pezzetti' di virus, e sembra che alcuni condividano delle mutazioni, non vuol dire che siamo in presenza della variante inglese e che questa sia responsabile dei contagi in Veneto". I numeri nella regione "sono legati alla zona gialla, con una maggiore circolazione delle persone che favorisce la trasmissione del virus. Più persone si ammalano e più persone di fatto muoiono, come probabilità. L’altro elemento è legato ai tamponi rapidi, che hanno una sensibilità bassa e hanno permesso che le Rsa venissero infettate", ha detto nei giorni scorsi Crisanti a L'aria che tira. "Si è puntato sui tamponi rapidi, il personale delle rsa è stato 'screenato' con i tamponi rapidi e nelle rsa abbiamo contagi senza precedenti", aggiunge. "Più tamponi si fanno, teoricamente, e più si interrompe la catena di trasmissione, ma questo dovrebbe essere seguito dalla diminuzione dei casi e dei morti. Qui abbiamo un aumento di casi e di morti senza precedenti", ha concluso.

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Il governo pensa di imporre l'arancione in Veneto dal 7 gennaio

Anche il Corriere del Veneto pronostica la zona arancione per il Veneto a partire dal 7 gennaio. Se non addirittura il rosso, in caso di ulteriore peggioramento dei numeri. L'Istituto Superiore di Sanità aveva già suggerito al governatore Zaia di imporre nuove restrizioni ma lui ha atteso le scelte del governo per le festività. L'Iss puntava su "zone rosse" locali, un’ulteriore riduzione dell’orario di apertura di bar, ristoranti e pasticcerie, la limitazione della mobilità della popolazione nelle zone più colpite e l’incentivazione dello smart warking. Adesso però c'è un nuovo dato sul tavolo: i posti in terapia intensiva. 

Secondo i documenti in possesso del ministero, la Regione ha comunicato «mille posti attivati e zero attivabili», quindi il calcolo della percentuale di occupazione è stato operato dall’Iss in base a questo numero. E risulta il 36% contro una media nazionale del 30%, il che ha portato alla zona di rischio gialla. Ma se il calcolo fosse stato fatto sui posti realmente operativi, cioè 698, spiegano i tecnici del ministero, la percentuale di occupazione avrebbe superato il 40%, inducendo una classificazione diversa. Almeno arancione, il che significa locali chiusi e divieto di spostamento tra Regioni.

Luciano Flor, direttore generale della Sanità, contesta però questo calcolo perché sostiene che "le postazioni ci sono fisicamente e non sulla carta, con relativi monitor e respiratori. In questo momento ne stiamo utilizzando 698, 395 per pazienti Covid: se fossero occupate tutte e mille vorrebbe dire avere seimila malati di coronavirus, 750 in Rianimazione. La quota aggiuntiva necessaria ad arrivare ai mille letti siricava dai posti di Sub-intensiva e dalla conversione delle 110 sale operatorie, ognuna delle quali può ospitare due postazioni. Aprirle tutte significherebbe bloccare l’attività chirurgica, fatte salve le urgenze, e mandare il sistema al collasso". Ma poi aggiunge: "Quanto a potenziali nuovi provvedimenti, vedremo come saremo messi il 6 gennaio: se ci saranno le condizioni per entrare nella zona di rischio arancione, accetteremo la nuova classificazione". 

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