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Martedì, 23 Aprile 2024
Il dibattito

La "e" capovolta minaccia per la lingua italiana o segno di un'Italia inclusiva?

Schwa, il carattere usato per annullare maschile e femminile, è comparso in alcuni verbali del Miur. Una petizione diventata virale punta a eliminarlo

C'è un esame che sta facendo discutere ed è quello per l'abilitazione a professore universitario di Organizzazione aziendale nel settore delle discipline economico-giuridiche. I verbali seguiti alle prove sono finiti al centro di una vera e propria bufera ma non per sospetti di brogli, prove truccate, privilegi concessi a questo o quel candidato. Tutto ruota attorno alla "ə"- cioè la "e" o schwa - usata per la parola "professore" in alcuni verbali. Su Change.org è comparsa una petizione "a difesa della lingua nostra" e la polemica ha preso piede coinvolgendo linguisti, scrittori, politici. 

"Pro lingua nostra"

Andiamo con ordine. La "e" rovesciata - schwa - è un carattere usato per rendere neutri sostantivi e aggettivi, quindi né maschili né femminili. Finora è stato usato prevalentemente nei testi di una parte dei movimenti femministi e Lgbtq+. Il carattere compare in alcuni verbali del Miur.

Massimo Arcangeli, linguista e scrittore nonchè ordinario di Linguistica italiana all’università di Cagliari, pubblica su Change.org una petizione. "Pro lingua nostra" il titolo. (La petizione). Nell'accorato appello si parla di una "pericolosa deriva, spacciata per anelito d'inclusività da incompetenti in materia linguistica, che vorrebbe riformare l'italiano a suon di 'schwa'. I promotori dell'ennesima follia, bandita sotto le insegne del politicamente corretto, pur consapevoli che l'uso della 'e rovesciata' non si potrebbe mai applicare alla lingua italiana in modo sistematico, predicano regole inaccettabili, col rischio di arrecare seri danni anche a carico di chi soffre di dislessia e di altre patologie neuroatipiche". 

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E ancora: "I fautori dello schwa, proposta di una minoranza che pretende di imporre la sua legge a un'intera comunità di parlanti e di scriventi, esortano a sostituire i pronomi personali 'lui' e 'lei' con 'ləi'. Lo schwa e altri simboli sono invece il frutto di un perbenismo, superficiale e modaiolo, intenzionato ad azzerare secoli e secoli di evoluzione linguistica e culturale con la scusa dell'inclusività. Lo schwa, secondo i sostenitori della sua causa, avrebbe anche il vantaggio di essere pronunciabile. Il suono è quello di una vocale intermedia, e gli effetti, se non fossero drammatici, apparirebbero involontariamente comici. Peculiare di diversi dialetti italiani, e molto familiare alla lingua inglese, lo schwa, stante la limitazione posta al suo utilizzo (la posizione finale), trasformerebbe l'intera penisola, se lo adottassimo, in una terra di mezzo compresa pressappoco fra l'Abruzzo, il Lazio meridionale e il calabrese dell'area di Cosenza".

Tra i firmatari  - 16.871 alle 9,28 di oggi 10 febbraio - ci sono accademici come Claudio Marazzini, presidente dell’Accademia della Crusca, ma anche personaggi televisivi o registi come Barbara De Rossi e Cristina Comencini o politici come Massimo Cacciari.

"Pro cucina nostra"

C'è chi però risponde con una contro petizione. La scrittirce Michela Murgia dal canto suo lancia "Pro cucina nostra" per boicottare il modernissimo "apericena". Con toni e impostazione retorica identica a quella della petizione originaria parla, a nome del "Senato accademico dei Cinque Cereali", di una "pericolosa deriva, spacciata per moderna necessità da incompetenti in materia culinaria, che vorrebbe riformare le sane abitudini sociali italiane a suon di spritz e esangui bocconcini finger food. I promotori dell'ennesima follia, bandita sotto le insegne del politicamente fighetto, pur consapevoli che la soppressione della cena e dell’aperitivo in favore di un ibrido non si potrebbe mai applicare alla vita fuori dalle grandi città, predicano regole inaccettabili, col rischio di arrecare seri danni anche a carico di chi soffre di alcolismo e di patologie alimentari".

Tra raccolte firme, citazioni più o meno colte, lingue vive o morte, quel che resta è un ragionamento irrisolto - e forse lo è per sua stessa natura - sull'inclusione. Passa anche da un grafema? Basta una lettera capovolta? Basta cambiare una desinenza? O forse sarebbe ora di ragionare sull'educazione, a partire dalle famiglie e dalle scuole, all'inclusione? Sul senso profondo di questa parola, per poi tradurla in atteggiamenti concreti?

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