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Venerdì, 29 Marzo 2024
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Violenza di genere nel lockdown (e non solo), La Sapienza lancia un corso: “Così affrontiamo un problema culturale”

Intervista a Gaia Peruzzi, Professoressa Associata in Sociologia dei processi culturali e della comunicazione presso il Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale della Sapienza di Roma, tra le promotrici di un corso di formazione che apre il varco alla comprensione di un fenomeno ancora tanto, troppo dilagante

Violenza: non si conta più il numero delle volte che orecchie e occhi si trovano davanti all’ascolto o alla lettura di questo sostantivo femminile che, declinato tanto al singolare quanto al plurale, è sintesi drammatica di tutto, di impeto di azioni incontrollate - siano esse singole o collettive -, di contusioni sul corpo come nell’anima, di spirali intricate che in ogni evento trovano l’origine di quelli successivi. Il disagio causato dalla pandemia, poi, con le sue restrizioni, le privazioni, i confinamenti tra le mura domestiche, ha contribuito ad incrementare il fenomeno, quantificato dai numeri che - secondo i dati diffusi l’11 maggio 2020 da D.i.Re (associazione che riunisce ottanta centri antiviolenza e le Case della Donna di tutta Italia nella lotta contro la violenza sulle donne) -  raccontano di 5.939 donne che tra il 2 marzo e il 3 maggio 2020 hanno contattato le operatrici dei centri. Di queste, ben 1.815 (il 30% circa) erano contatti “nuovi”, ovvero donne che chiedevano aiuto ai centri per la prima volta. Lampante, dunque, l’effetto di recrudescenza provocato dal lockdown se si confrontano questi casi di violenza contro le donne con quelli del 2018, anno dell’ultima rilevazione annuale disponibile, quando la media mensile dei contatti (vecchi e nuovi insieme) era stata di 1.642 chiamate.

La violenza di genere come un fenomeno culturale

Le donne, però, non sono le uniche a pagare. Le donne sono solo parte dell’insieme di vittime della violenza cosiddetta ‘di genere’ compiuta anche contro omosessuali, uomini e donne che siano, e contro tutte le minoranze di identità e di orientamento sessuale. Ma perché? Cosa spinge alla prevaricazione verso tale specifica platea di soggetti? “La violenza di genere è l’epifenomeno di qualcosa che affonda le radici nel fatto che la società è un tessuto di diseguaglianze di genere di cui tutti siamo parte”, racconta a Today Gaia Peruzzi, professoressa associata in Sociologia dei processi culturali e della comunicazione presso il Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale della Sapienza di Roma che, insieme alla collega Giovanna Gianturco del Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale, è la referente del corso di formazione interfacoltà ‘Culture contro la violenza di genere: un approccio transdisciplinare’ nato proprio per indagare sulle origini di un problema strutturale, ovvero diffuso e trasversale a società, contesti famigliari, luoghi in cui persistono mentalità e stereotipi fertili alla riproduzione di diseguaglianze, discriminazioni e soprusi.

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“Culture contro la violenza di genere: un approccio transdisciplinare”: il corso della Sapienza

Per la complessità della questione, il percorso formativo istituito dalla Sapienza ha richiesto la collaborazione tra diverse discipline, dalla Facoltà di Medicina e Odontoiatria a quella di Scienze Politiche, Sociologia, Comunicazione, Giurisprudenza, Lettere e Filosofia, Medicina e Psicologia, tutte coinvolte nel fornire le chiavi di letture utili alla comprensione di un tema che ha bisogno di essere indagato fino in fondo per essere effettivamente contrastato. La professoressa Peruzzi ci ha spiegato le ragioni dell’importanza di una visione di insieme. Perché – dice – “ad essere prioritaria è la conoscenza del fenomeno , spesso male interpretato e non compreso a pieno. Ci sono pregiudizi grossi che distorcono la prospettiva”.

- Com’è nata l’idea di istituire un corso di formazione universitario contro la violenza di genere in un momento come ancora segnato dall’emergenza sanitaria?

Il corso viene alla luce ora, ma ci ha messo del tempo a coagularsi. La ‘data di nascita’ risale al 25 novembre 2019, Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, quando la professoressa Antonella Polimeni, preside della Facoltà di Medicina e Odontoiatria, ha organizzato un seminario interdisciplinare rivolto agli studenti della Sapienza per affrontare il tema sotto diversi punti di vista, giuridico, sociale, storico, sociologico. Dal confronto dei differenti punti di vista è nata l’idea di istituire di un corso che raccogliesse le sensibilità e gli interessi di docenti e diverse facoltà. Il corso, dunque, era già pensato prima che scoppiasse l’emergenza coronavirus. Poi, in effetti, si è trovato a ridosso di una pandemia che ha incrementato il problema della violenza di genere che non ha certo il carattere dell’improvvisazione, ma è una costante trasversale a contesti, società e fasce di popolazione.

- In che modo un percorso formativo transdisciplinare può incidere, se non nella risoluzione del problema, almeno nella sua comprensione?

Personalmente mi rendo conto che il lavoro di sostegno, di prevenzione e di assistenza sul campo delle donne e delle persone vittime di violenze di genere richieda delle competenze soprattutto tecniche. In questo contesto, però, ad essere prioritaria è la comprensione, la conoscenza del fenomeno che, a mio avviso, spesso viene male interpretato e non compreso a pieno. Ci sono pregiudizi grossi che distorcono la prospettiva. Innanzitutto, va precisato che la violenza di genere non è la violenza contro le donne che comunque è senza dubbio uno degli aspetti più gravi e quantitativamente più rilevanti. La violenza di genere comprende quella contro le donne, i bambini, gli omosessuali - gay e lesbiche - e contro tutte le identità sessuali e le forme di orientamento sessuale che sono minoranze: contro tutte quelle figure, insomma, vittime della struttura del patriarcato quale ordine sociale in cui l’uomo eterosessuale ha una posizione di potere sulle altre categorie. Altro aspetto importante: il problema della violenza di genere non deve essere affrontato dalle vittime, donne o omosessuali, ma dagli uomini. Non è un problema femminile. E’ l’epifenomeno di qualcosa di più profondo che affonda le radici nel fatto che la società è un tessuto di diseguaglianze di genere di cui tutti siamo parte: se io in casa mi abituo a un sistema in cui la donna fa le faccende e l’uomo no, io mantengo in vita un tessuto di diseguaglianze che non è detto che esploda in violenza, ma è comunque terreno fertile per quella violenza.

- Dunque l’obiettivo del corso è quello di indurre quantomeno a riflettere sulla situazione culturale.

Sicuramente cerchiamo di approcciare al problema da punti di vista differenti per far acquisire consapevolezze su questi pregiudizi, su un fenomeno di cui tutti siamo protagonisti. Viviamo in una società in cui esiste la violenza di genere, il bullismo, il gap salariale tra uomini e donne, la mancanza di parità per le donne in molte professioni, non solo economica ma anche di posizioni (non abbiamo mai avuto un Presidente della Repubblica donna, per esempio…). La questione è trasversale, allora, la violenza di genere è solo un lato della medaglia. Io, nella mia esperienza di docente universitaria, mi ritrovo a confrontarmi con ragazzi che nel loro percorso di studi non hanno mai avuto occasione di riflettere su questi aspetti. Perciò un corso come questo diventa importante, perché apre un percorso sulla violenza di genere che tutti coloro che vogliano riflettere, diplomati e laureati, possono intraprendere.

- I dati diffusi da Di.Re. restituiscono la recrudescenza dei casi di violenza contro le donne nel periodo di lockdown. Perché, secondo il suo punto di vista di sociologa, la quarantena risulta aver aggravato decisamente il fenomeno?

Era prevedibile che succedesse in un momento come il lockdown. Generalmente tutte le situazioni di vulnerabilità in una situazione in cui si rompono le relazioni tendono a peggiorare, ancora di più per quanto riguarda la violenza di genere che prevalentemente ha il suo teatro nella casa o nelle sfere più private dell’individuo. Non a caso le associazioni avevano lanciato l’allarme: quando si confinano in casa le persone che hanno il tessuto sociale più debole o che sono più vulnerabili, i rischi aumentano.

- Medicina e Odontoiatria, Scienze Politiche, Sociologia, Comunicazione, Giurisprudenza, Lettere e Filosofia, Psicologia sono le Facoltà universitarie coinvolte nella preparazione del corso in questione. Quali sono i contributi che ognuna di queste discipline fornisce al corso? In altri termini, come ognuna di queste scienze incide sulla dimensione culturale  indicata come culla di diseguaglianze, discriminazioni e, dunque, violenza?

Le scienze umane come Lettere e Filosofia hanno certamente il contributo degli storici che tradizionalmente hanno mostrato come il patriarcato per secoli abbia oppresso alcune fasce. La Giurisprudenza fornisce la conoscenza degli strumenti che sostengono la parità e quelli con cui si possono realizzare gli interventi; la Sociologia lavora sulla rottura degli stereotipi quotidiani e ancora di più sulla comunicazione, perché innanzitutto tende a demolire le narrazioni stereotipate per costruirne dei nuovi. Qui il ruolo dei media è fondamentale sia nell’informazione, nelle pubblicità, sia nelle storie che si raccontano. Occorre che si costruisca un linguaggio adeguato: il vocabolario di genere è ancora tanto grezzo e basilare nell’uso comune. Per quanto riguarda le Facoltà di Medicina e Psicologia, poi, il loro apporto è importante per ciò che attiene l’approccio, l’accoglienza nei casi di violenze fisiche che bisogna saper riconoscere, curare, trovare un canale di comunicazione con la vittima: serve un mix di competenze e questa credo sia proprio la forza di questo corso.

- Come si articolerà? E quali sono gli strumenti che potranno essere acquisiti alla fine della sua frequenza? 

Vista la condizione attuale di pandemia, il corso sarà online perché non ci vogliamo fermare: avremmo potuto organizzarlo in presenza ma avremmo dovuto aspettare altri tempi. Con il meccanismo della didattica a distanza il vantaggio è che la partecipazione è possibile anche per chi non potrebbe parteciparvi per questioni di tempo o di distanza. Attorno a un tavolo virtuale metteremo insieme tutte le competenze rispettando l’approccio transdisciplinare, ma non in successione, bensì con un intreccio di dialoghi su ogni tema. In questo modo chi partecipa al corso potrà interagire e avere il confronto diretto con le diverse professionalità. In questa fase l’obiettivo è aprire prospettive e dare gli strumenti per la comprensione del fenomeno, così da fare decollare lì interesse sul tema.

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