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Giovedì, 28 Marzo 2024

Vincenzo Sbrizzi

Giornalista

Se il violentatore è tuo marito

Sta facendo discutere in queste ore la richiesta di archiviazione avanzata dal sostituto procuratore di Benevento, Flavia Felaco, di una denuncia di violenza domestica. A generare le polemiche non è stato l'atto in sé, che verrà valutato per legge dal Gip competente, ma i termini che sono stati utilizzati nelle motivazioni a corredo della richiesta. Il passo incriminato scritto dal magistrato riguarda l'ipotesi di violenza sessuale domestica che a suo giudizio non si è verificata anche per i motivi che tiene a specificare in questi termini: “Considerato anche comune negli uomini dover vincere quel minimo di resistenza che ogni donna, nel corso di una relazione stabile e duratura, nella stanchezza delle incombenze quotidiane, tende ad esercitare quando un marito tenta un approccio sessuale”.

Un passo che in queste ore è stato preso a esempio come effetto del patriarcato anche su coloro che devono accogliere le denunce delle donne. Scritto poi da una donna, ha provocato ancora più sgomento. Una delle domande che più ricorre nell'immaginario comune è: “Ma si può parlare di violenza sessuale da parte di un marito?”. La risposta è “assolutamente sì” e uno dei danni che queste parole scritte dal magistrato possono provocare è proprio allontanare le vittime dall'andare a denunciare. Secondo le statistiche, la maggior parte delle violenze sessuali subite dalle donne avvengono proprio all'interno delle mura domestiche a opera del proprio partner o di parenti e affini. Questo rende molto più difficile la denuncia proprio perché la dinamica è, nel caso del partner, difficile da dimostrare, e in entrambi i casi il legame, spesso familiare, dissuade la vittima dal denunciare un proprio congiunto.

È provato nella letteratura scientifica sul tema che un ruolo fondamentale di dissuasione sia svolto anche dai familiari della vittima intenti spesso nel provocare un ripensamento proprio per non danneggiare un congiunto. Le parole del pm, soprattutto rispetto alla resistenza, e quindi alla non consensualità, appaiono molto pericolose soprattutto perché considerano consuetudine consolidata, e quindi anche giuridicamente accettabile, un atteggiamento che per centinaia di anni ha violato le libertà individuali della donna e che finalmente si sta provando a scardinare con un movimento d'opinione oltre che con interventi legislativi. Proprio l'inasprimento delle pene rispetto alle violenze subite dalle donne sembrano essere in disaccordo con una prassi dei comportamenti che, se viene considerata tale da forze dell'ordine e magistratura, rendono inutile l'intervento del legislatore.

Paradossalmente coloro che si trovano a combattere i crimini lamentano spesso la mancanza di leggi adeguate. Quando, però, queste ci sono, devono badare bene di non essere troppo “progressiste” e di non andare contro la libertà di giudizio dei magistrati che comunque sono liberi di interpretare la norma. La strada è ancora lunga e questo discorso non ha la pretesa di entrare nel merito del giudizio ma piuttosto di analizzare le dinamiche che hanno finora provocato uno dei cancri della nostra società delle cui sorti siamo tutti responsabili, nessuno escluso.

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