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Giovedì, 28 Marzo 2024
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"Folla nei pronto soccorso? Il 60% dei pazienti è un codice verde. Non c'è il disastro"

"Più della metà dei malati dimessi entro le dieci ore", dice Alberto Zangrillo, primario del San Raffaele di Milano

"Siamo vicini al collasso, le ultime misure rappresentano un passo avanti ma purtroppo non sono sufficienti", dice Guido Bertolini, responsabile del coordinamento Covid-19 dei pronto soccorso lombardi. E per descrivere la situazione ci sono immagini che valgono più di mille parole. Come la foto pubblicata sugli account social della Società Italiana Sistema 118, che mostra alcuni operatori del 118 in Sardegna seduti su una panchina all’esterno di un ospedale.

Sono stremati, bardati con tute protettive, costretti a code estenuanti davanti agli ospedali (in alcuni casi anche di dodici ore) in attesa che i pazienti nelle ambulanze possano accedere ai Pronto Soccorso dell'ospedale di Cagliari.

Zangrillo e "il 60% dei malati in codice verde nei pronto soccorso"

Ma no, tutto questo non conta per Alberto Zangrillo. Il primario dell'ospedale San Raffaele di Milano va controcorrente e, come fatto in passato, miminimizza. "Folla nei pronto soccorso? Il 60% dei malati viene dimesso entro le dieci ore, sono i cosiddetti codici verdi. Non c'è in questo momento il disastro, dobbiamo tutti fare la nostra parte", ha detto a La Vita in diretta, commentando così l’allarme lanciato da chi interpreta l’aumento delle telefonate al 118 come un aggravamento della situazione coronavirus in Italia.

Dove sono finiti quelli del coronavirus indebolito? 

Ai microfoni di L'aria che tira su La7 lo stesso Zangrillo aveva espresso un concetto simile: "C’è un dato ed è quello più importante: il 65% delle persone che si presentano nei nostri pronto soccorso vengono dimesse entro le 9 ore. Forse la mia età non più ‘verde’ mi permette di avere una visione un po’ più d’insieme, e quindi di cercare di raccontare la verità senza eccedere né nell’ottimismo né nel catastrofismo. La realtà che osservo è quella di una situazione ben gestita dalle Regioni di riferimento, in cui si sarebbe potuto fare meglio e di più sul territorio".

"Coloro che hanno bisogno di cure intensive sono una netta minoranza"

E ha spiegato che "tutto questo tenendo conto del fatto che c’è invece un sistema intraospedaliero organizzato secondo degli step gravità, per cui noi andiamo a prenderci cura del malato con sintomatologia lieve, media, grave. E fortunatamente quello che osserviamo è che coloro che hanno bisogno di cure intensive sono una netta minoranza che non è paragonabile alla prima ondata di marzo-aprile. Con questo non dico che non ci siano malati in terapia intensiva e che non vi saranno, però quella curva esponenziale che terrorizza per il momento non c’è".

"Noi - ha concluso - dobbiamo veramente cercare di dare una parola non di ottimismo, ma di seria responsabilità, per confermare a chi ci ascolta che questa è una patologia che, quando conclamata clinicamente, può essere tempestivamente curata a domicilio e che vi è una popolazione molto ben identificata, che sono i grandi anziani portatori di co-patologie, che vanno protetti. Da chi? Dai loro nipoti, dai loro figli".

Nel frattempo, la crescita dei posti letto occupati in terapia intensiva ci sta portando verso un nuovo lockdown. Ne parliamo qui

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