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Venerdì, 19 Aprile 2024
Benefici del sonno

Troppo sonno (o poco) fa male: quante ore bisogna dormire

Secondo uno studio americano dormire meno di 4,5 ore e più di 6,5 ore a notte può causare demenza e malattie come l’Alzheimer

Dormire poco, si sa, fa male. Poche ore di sonno, se protratte nel tempo, causano un lento e graduale declino cognitivo. A dimostrarlo numerosi studi. Secondo uno di questi, le persone con disturbi del sonno, come insonnia o un’eccessiva sonnolenza diurna, corrono un rischio maggiore di sviluppare demenza rispetto alle persone che non li hanno. Secondo altre ricerche, chi dorme poco ha livelli più alti di beta-amiloide nel cervello (principale costituente delle placche senili che si trova in grosse quantità nelle persone con morbo di Alzheimer). E’ chiaro, quindi, che dormire a sufficienza fa bene per diversi motivi: migliora la salute mentale, previene il morbo di Alzheimer, aiuta il corpo a ripararsi e a funzionare meglio, riduce il rischio di malattie tra cui il diabete e le malattie cardiache. Ma dormire troppo? Cosa sappiamo sul sonno lungo? Un recente studio della Washington University School of Medicine ha indagato sulla correlazione tra sonno e salute, e scoperto che anche dormire troppo può essere causa di declino cognitivo.

Lo studio

Il team di ricerca ha monitorato 100 anziani tra la metà e la fine degli anni '70 per 4-5 anni. Al momento dello studio, 88 persone non mostravano alcun segno di demenza, mentre 12 mostravano segni di deterioramento cognitivo (uno con demenza lieve e 11 con pre-demenza di decadimento cognitivo lieve). Durante lo studio, ai partecipanti è stato chiesto di effettuare una serie di test cognitivi e neuropsicologici per intercettare segni di declino cognitivo o demenza. I risultati sono stati poi combinati in un unico punteggio, definito “Preclinical Alzheimer Cognitive Composite (PACC)”. Più alto era il punteggio, migliore era la loro capacità cognitiva nel tempo.

Come è stato monitorato il sonno

Il sonno è stato misurato utilizzando un dispositivo per encefalografia a elettrodo singolo (EEG), che i partecipanti hanno indossato sulla fronte durante le ore di sonno, per un totale di quattro-sei notti. Il monitoraggio con l’EEG ha permesso ai ricercatori di misurare con precisione l'attività cerebrale degli anziani presi in esame, e riferito per quanto tempo dormivano e quanto quel sonno era riposante. Sebbene il sonno sia stato monitorato solo in un certo periodo durante lo studio (tre anni dopo i test cognitivi e neuropsicologici), ha comunque fornito al team di ricerca una indicazione sufficiente riguardo le normali abitudini di sonno dei partecipanti.

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Altri fattori che influenzano il declino cognitivo

Oltre alle ore di sonno, i ricercatori hanno preso in considerazione anche altri fattori che, secondo loro, possono influenzare il declino cognitivo, tra cui l'età, la genetica e la presenza delle proteine beta-amiloide o tau, entrambe legate alla demenza.

Le conclusioni dei ricercatori

Grazie allo studio, i ricercatori hanno scoperto che dormire meno di 4,5 ore e più di 6,5 ore a notte, insieme a una scarsa qualità del sonno, è associato a un declino cognitivo nel tempo; e notato che l'impatto della durata del sonno sulla funzione cognitiva era simile all'effetto dell'età, principale fattore di rischio per lo sviluppo del declino cognitivo.

Poche ore di sonno causano il declino cognitivo

Sugli effetti negativi della mancanza di sonno sulla salute, i ricercatori sono concordi, anche se non sanno ancora con certezza il perché di questa correlazione. Secondo una teoria è il sonno che aiuta il nostro cervello a eliminare le proteine dannose, che si accumulano durante il giorno. Si pensa che alcune di queste proteine, come la beta-amiloide e la tau, causino la demenza. Quindi, modificare le ore si sonno potrebbe interferire con la capacità del nostro cervello di liberarsene. Prove sperimentali dimostrano addirittura che anche solo una notte di privazione del sonno, potrebbe aumentare temporaneamente i livelli di beta-amiloide nel cervello anche in persone sane.

Molte ore di sonno causano un declino cognitivo

C’è poca chiarezza anche sul perché il sonno lungo causi un declino cognitivo. Alcune ricerche hanno dimostrato che esiste un legame tra il sonno eccessivo e le prestazioni cognitive, ma la maggior parte di questi studi si basa sull'autovalutazione dei partecipanti (che hanno riferito quanto dormivano in media ogni notte), quindi sono dati meno affidabili rispetto a quelli provenienti dal monitoraggio dell’attività cerebrale dell’EEG (effettuata di ricercatori della Washington University School of Medicine).

E, allora, qual è la durata del sonno ottimale?

Secondo i ricercatori della Washington University School of Medicine, dormire più di 6,5 ore è associato al declino cognitivo nel tempo. La durata del sonno ottimale è, quindi, molto più breve di quella suggerita dagli studi precedenti (sopracitati), soprattutto se poi si considera che agli anziani si consiglia di dormire tra le 7 e le 8 ore ogni notte. Per ridurre il rischio di sviluppare demenza, non bisogna, però, stare attenti solo alla quantità di ore di sonno - suggeriscono i ricercatori - ma anche alla qualità. Il team di ricerca ha, infatti, anche dimostrato che avere il bisogno di meno sonno ristoratore (condizione tipica degli anziani, collegata a livelli più elevati di proteina tau nel cervello), può influire sul deterioramento cognitivo.

Cosa fare per dormire meglio

La durata e qualità del sonno di ogni singolo individuo possono variare in funzione di tanti aspetti: dai problemi di salute allo stato socioeconomico ai predisposizione genetica. Sebbene alcuni fattori non siano “modificabili”, è comunque possibile fare qualcosa per dormire meglio e ridurre la probabilità di sviluppare qualche forma demenza, come praticare esercizio fisico e seguire una dieta sana ed equilibrata. E tenere ben presente che il riposo occasionale del fine settimana non potrà mai avere gli stessi benefici di un sonno costante nel corso della settimana (che oscilla tra le 4,5 e le 6,5 ore ogni notte, come suggeriscono i ricercatori americani).

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