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Giovedì, 28 Marzo 2024
Guerra e bambini

Qual è il modo più giusto di raccontare la guerra ai bambini

“Non bisogna tenerli allo scuro ma affrontare il tema con semplicità, spirito di verità e partecipazione. La condivisione con l’adulto ne alleggerisce il peso”. L’intervista alla Prof.ssa Elisa Fazzi, neuropsichiatria infantile e Presidente SINPIA

Dal 24 febbraio le tv, i giornali e il web propongono senza sosta immagini e racconti di guerra. Esplosioni, morti, civili che scappano, famiglie che si rifugiano nei bunker, mamme che piangono. Scenari che nessun bambino dovrebbe vedere e tantomeno vivere in prima persona. “I bambini – spiega a Today la neuropsichiatra infantile Elisa Fazzi, Presidente SINPIA (Società Italiana di Neuropsichiatria dell'Infanzia e dell'Adolescenza) - sono fortemente vulnerabili allo stress e con minori capacità di adattamento ai traumi, con conseguenze devastanti sul loro sviluppo e quindi sul loro futuro che è il futuro del mondo”. Per la SINPIA, così come per la ESCAP (European Society for Child and Adolescent Psychiatry) a livello europeo, il primo obiettivo deve essere quello di tutelare al massimo la salute psicofisica di ogni bambino e adolescente e quindi di ogni essere umano, per consentire ai bambini e ai ragazzi italiani, europei, e di tutto il mondo, di crescere al sicuro dalle minacce e dalle conseguenze dei conflitti armati.

E, allora, come possiamo proteggere i nostri bambini dal racconto della guerra? Quali sentimenti ed emozioni suscitano in loro le immagini e i video tramessi in questi giorni dai media? Come raccontargli quello che sta accadendo? Ne abbiamo parlato con la Prof.ssa Elisa Fazzi, direttore della U.O. Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza ASST Spedali Civili e Università di Brescia.

Pro.ssa Fazzi, è giusto parlare della guerra ai bambini o sarebbe meglio proteggerli?

“Proteggere i bambini non vuol dire tenerli all’oscuro dei fatti che coinvolgono le loro vite e la loro quotidianità, negando la realtà o nascondendola quando poi questa è comunque sotto i loro occhi, facilmente accessibile attraverso infiniti canali. Senza dimenticare la loro spiccata sensibilità naturale nel percepire eventi significativi o critici. Come per la Pandemia, raccontare la guerra ai nostri bambini è inevitabile e non è possibile far finta di nulla, anche perché le notizie li raggiungerebbero comunque. Meglio allora affrontare anche questi temi con semplicità, spirito di verità e partecipazione. Questo permette anche alle notizie peggiori di essere esprimibili e quindi più facili da elaborare. La condivisione con l’adulto ne alleggerisce il peso”.

In che modo genitori e insegnanti devono affrontare il tema?

“Il miglior modo è l’ascolto. La capacità di ascoltare, osservare e cogliere quello che i bambini dicono ed esprimono, non solo con le parole ma anche attraverso il comportamento, il gioco, il disegno: è una competenza genitoriale ed educativa preziosa. Ѐ osservando e ascoltando i bambini che riusciamo a capire cosa ognuno di loro chiede e vuole sapere, calibrando le nostre risposte senza dire troppo o troppo poco, contestualizzando la nostra risposta e rendendola adattata alla richiesta”.

Il video con cui il Governo russo spiega la guerra ai bambini 

Quali errori non vanno commessi?

“Non parlare e condividere con i nostri bambini è certamente l’errore più grave, insieme a quello di essere bloccati dalla paura - che è la nostra di adulti - di causare loro maggiore sofferenza parlando. È un errore anche parlare troppo e razionalizzare, eccedendo in precisazioni e dettagli non necessari, tipici del pensiero di un adulto”.

A ogni età può essere utile un diverso modo di raccontare?

“Certamente sì. Con i più piccoli il canale preferenziale è quello del gioco, ma anche il disegno, che può rappresentare un ottimo veicolo per le emozioni. Il racconto, inoltre, è un’ottima risorsa: raccontare una storia permette di esprimere ed elaborare messaggi difficili o esperienze dolorose”.

Quale impatto può avere il racconto delle guerra sulle generazioni future?

“L’impatto può essere variabile e a lungo termine, andando dal ricordo di un evento spiacevole a situazioni più complesse che magari nascono anche dalla fragilità o dalla predisposizione individuale. Naturalmente molto dipende dalla gravità e dalla vicinanza del racconto all’esperienza: un conto sarà l’impatto che quel racconto avrà sui bambini dell’Ucraina, un altro sarà sui bambini europei che il racconto l’avranno visto o sentito attraverso le immagini dei telegiornali”.

Che ruolo hanno i media e come possiamo proteggere i nostri bambini dal racconto fatto attraverso la tv, Internet e i social network?

“Oltre alla cronaca di notizie non piacevoli, sappiamo che esistono anche effetti protettivi che i media possono veicolare attraverso la condivisione e diffusione di notizie anche serene, positive e di speranza, che possono attutire, lenire, riequilibrare quelle negative ed aprire ad un cammino di speranza che è opportuno offrire anche nelle situazioni più difficili”.

Presidente SINPIA - Prof.ssa Elisa Maria Fazzi 6-2

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