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Martedì, 23 Aprile 2024
Esperienza pre-morte

Cosa sappiamo sull'esperienza di pre-morte: la ricerca fa il punto

Un team multidisciplinare internazionale ha stilato il primo documento al mondo che raccoglie tutti gli studi scientifici effettuati fino ad oggi sulla morte

Cosa accade al cervello poco prima e subito dopo la morte? Sebbene molte persone abbiamo riportato la loro esperienza di pre-morte (NDE) come un fenomeno trascendentale in cui si passano in rassegna i principali ricordi della propria vita, il meccanismo neurofisiologico alla base di questo fenomeno non è ancora chiaro. Gli scienziati ipotizzano che il cervello possa generare un replay della memoria all'interno di questa fase "inconscia" con un aumento dell'attività oscillatoria neuronale. Finora, i rapporti che analizzano i meccanismi neurali dell’esperienza pre-morte derivano da studi sperimentali su animali, da misurazioni ottenute post-NDE piuttosto che dalla registrazione in tempo reale dell’attività del cervello durante l’esperienza di pre-morte. Ad essere riuscito a registrare per la prima volta i processi neurofisiologici in un cervello umano morente è stato un team di ricerca internazionale che ha raccolto i dati continui sulla dinamica neuronale del cervello di un paziente prima e immediatamente dopo il momento della morte (il case report è stato pubblicato su Frontiers in Aging Neuroscience). Ma, esaminando i dati presenti in letteratura relativi a soggetti che sono stati in coma o che hanno avuto un arresto cardiaco o la sindrome da terapia post-intensiva, emergono informazioni contrastanti e incoerenti. 

Così nell’ottica di standardizzare e facilitare la ricerca futura, un team multidisciplinare internazionale di ricercatori, guidato da Sam Parnia, direttore della Critical Care and Resuscitation Research presso la NYU Grossman School of Medicine, ha pubblicato negli Annals of the New York Academy of Sciences, le "Linee guida e standard per lo studio della morte e le esperienze di morte richiamate”. Si tratta del primo documento al mondo che ha esaminato tutte le prove scientifiche accumulate fino ad oggi sulla morte, progettato per "fornire approfondimenti sui potenziali meccanismi, implicazioni etiche e considerazioni metodologiche per l'indagine sistematica, e identificare problemi e controversie” nell'area di ricerca.

La "morte" nel 21° secolo non è la stessa di cento anni fa

Per “morte cerebrale” si intende la perdita irreversibile della funzione del cervello, ma se è ‘curabile’, i pazienti non possono essere più definiti “cerebralmente morti”. Negli ultimi decenni, grazie al progresso della tecnologia medica, molti pazienti, che prima sarebbero morti, sono tornati a vivere. In precedenza, la mancanza di respiro e di polso erano considerati segni distintivi della morte cerebrale, oggi non è più così perché i nuovi metodi di rianimazione consentono di riportare in vita milioni di pazienti dopo che il loro cuore si è fermato. Oggi, le vittime di annegamento che soffrono di estrema ipotermia, di mancanza di ossigeno o mancanza di polso e respiro per diverse ore possono essere rianimate con un pò di fortuna e tempestivi interventi medici. La medicina moderna ha cambiato così radicalmente il modo in cui pensiamo alla morte. Come disse nel 2016 Anders Sandberg, ricercatore presso il Future of Humanity Institute dell'Università di Oxford, "essere ‘irreversibilmente morto’ o meno dipende dalla tecnologia". 

Cosa accade nel cervello quando moriamo: lo svela uno studio 

L’arresto cardiaco può essere ‘invertito’

L'arresto cardiaco si verifica quando il cuore non riesce più a far circolare il sangue e a far arrivare ossigeno al corpo, e rappresenta la fase finale di una malattia o di un evento che può causare la morte di una persona. Ma è un evento che può essere “interrotto”, evitando la morte del paziente. In effetti, sottolineano i ricercatori, l'evidenza suggerisce che né i processi fisiologici né quelli cognitivi terminano nel ‘punto di morte’. "L'avvento della rianimazione cardiopolmonare - ha spiegato Sam Parnia, autore principale del nuovo documento - ci ha mostrato che la morte non è una condizione assoluta, piuttosto è un processo che potrebbe potenzialmente essere 'invertito' in alcune persone anche dopo che è iniziato”.

Cosa sappiamo sull’esperienza pre-morte

Sono centinaia di milioni le persone che hanno vissuto e raccontato la loro esperienza di pre-morte. Tutte hanno riferito sentimenti di appagamento, di distacco psichico dal corpo (come esperienze extracorporee), l’attraversamento di un lungo tunnel oscuro che culmina con una luce brillante. In generale, l’esperienza di pre-morte inizia con una sensazione di distacco dal proprio corpo e riconoscimento della morte, seguita da una senso di viaggio verso una destinazione e un'analisi delle azioni, intenzioni e pensieri relativi alla propria vita, per concludersi con l’arrivo in un posto che fa sentire "a casa", prima di tornare finalmente nel mondo reale. Ad influenzare le diverse esperienze di pre-morte possono essere la cultura e l’età: ad esempio, molti indiani hanno riferito di aver incontrato il re indù dei morti, Yamraj, mentre gli americani hanno spesso affermano di aver incontrato Gesù, i bambini infine ha descritto l' incontro con amici e insegnanti "nella luce".

Prospettive di ricerca future

L'esplorazione scientifica della morte è stata in gran parte possibile grazie al fatto che le cellule cerebrali non vengono danneggiate in modo irreversibile entro pochi minuti dalla privazione di ossigeno, quando il cuore si ferma, ma 'muoiono' nel corso delle ore successive. Ciò ha consentito agli scienziati di studiare oggettivamente gli eventi fisiologici e mentali che si verificano poco prima e poco dopo la morte. La scienza moderna hanno consentito di esplorare l’esperienza di pre-morte (studi di elettroencefalografia hanno mostrato, ad esempio, l'emergere di attività gamma e picchi elettrici in relazione alla morte, un fenomeno solitamente associato a una maggiore consapevolezza) consentendo di capire cosa accade durante la morto in modo obiettivo e scientifico. “Questi risultati - ha concluso Parnia - ci hanno anche permesso di capire che nella fase di pre-morte, esiste una coscienza e una consapevolezza di quel che si sta vivendo, e possono aprire la strada a ulteriori e interessanti ricerche”.

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