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Sabato, 20 Aprile 2024
Cura per la depressione

Depressione, un pacemaker impiantato nel cervello può curarla

L’efficacia del dispositivo è stata dimostrata da un esperimento condotto su una donna di 36 anni che soffre di una forma di depressione grave e resistente alle cure

La depressione è il più diffuso tra i disturbi mentali diagnosticati, con più di 300 milioni di persone colpite in tutto il mondo, 40 milioni in Europa e oltre 3 milioni in Italia. Si tratta, soprattutto in riferimento alle forme più severe, di una malattia fortemente invalidante che ha un elevato impatto sia sulla qualità di vita di chi ne soffre, sia sui costi sociali. In alcuni casi il disagio mentale è tale da insidiare in chi ne soffre la sensazione di non avere una via di uscita. E così il suicidio (collegato alla depressione) è, nel mondo, tra le prime cause di morte anche tra i giovanissimi. Nonostante la malattia sia stata riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come la prima causa di disabilità a livello mondiale, solo 1 paziente su 2 riceve un trattamento corretto ed efficace. Circa il 30% delle persone con depressione, infatti, non risponde alle terapie standard o diventa resistere al trattamento. In questi casi nessun tipo di farmaco o terapia sembra aiutare. 

Per fortuna, però, i ricercatori di tutto il mondo lavorano costantemente per cercare di trovare nuovi trattamenti e opzioni terapeutiche efficaci per curare la malattia. Una speranza per i pazienti che soffrono di depressione grave arriva da uno studio, pubblicato su Nature Medicine, condotto dai ricercatori del Dipartimento di Neuroscienze presso l'Università della California San Francisco (UCSF). Gli studiosi hanno impiantato nel cervello di una donna di 36 anni (Sarah) un "pacemaker cerebrale” che invia impulsi capaci di “resettarne” il funzionamento, ed entra in funzione (agendo sui determinati circuiti cerebrali) solo quando i sintomi più gravi si manifestano. I risultati dell'esperimento, a detta della stessa paziente, sembrano ottimi, ma la Deep Brain Stimolation non è adatta a tutti: costa decine di migliaia di dollari e la chirurgia cerebrale per impiantare il dispositivo comporta alti rischi per i pazienti. L’esperienza di Sarah fa comunque sperare che questo trattamento, se altri studi confermeranno la sua efficacia, potrà aiutare in futuro un numero significativo di persone che soffrono di depressione.

La depressione di Sarah

Quando Sarah ha preso parte allo studio aveva 36 anni e soffriva di una forma di depressione grave e resistente alle cure sin da bambina. Non riusciva a smettere di piangere, non pensava ad altro se non a un modo per porre fine alla sua vita. La sua depressione l’aveva anche costretta a lasciare il lavoro e la casa dove viveva con i genitori. Le aveva provate tutte: 20 farmaci diversi, stimolazione magnetica transcranica, terapia elettroconvulsivante, ma nulla era riuscito a curare i sintomi. Poi, è stata reclutata per un esperimento su una terapia sperimentale contro la depressione che le ha cambiato la vita. Oggi Sarah ha 38 anni e la sua malattia è sotto controllo: è tornata a casa sua e ha ricominciato a vivere.

L’esperimento

L’esperimento è stato condotto su un’unica paziente (Sarah) da un team di ricerca del Dipartimento di Neuroscienze presso l'Università della California San Francisco (UCSF) con l’obiettivo di studiare i metodi di stimolazione cerebrale per alleviare i sintomi della depressione. I ricercatori hanno impiantato chirurgicamente nel cervello di Sarah un "pacemaker cerebrale” (un dispositivo a batteria delle dimensioni di una scatola di fiammiferi) calibrato per rilevare l'attività neurale che si verifica quando diventa depressa e per agire sui determinati circuiti cerebrali, solo quando i sintomi si fanno più gravi.

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Il “pacemaker cerebrale” nel morbo di Parkinson e nell’epilessia

Sebbene l'idea di avere impiantato nel cranio un piccolo dispositivo può sembrare quasi fantascientifico, il pacemaker cerebrale era già stato testato con successo, in passato, per la cura di altri disturbi cerebrali come il morbo di Parkinson e l'epilessia. La depressione, però, è molto più complessa: i circuiti cerebrali coinvolti nella malattia sono, infatti, molti e articolati. Finora i risultati degli esperimenti condotti per testare l’efficacia del “Deep Brain Stimulation” nella cura della depressione sono stati contrastanti e per lo più deludenti. 

La scoperta del biomarcatore della depressione

Il team dell’UCSF ha deciso di testare nuovamente questo tipo di trattamento (il “Deep Brain Stimulation”), ma con un nuovo approccio: mentre negli studi precedenti, la stimolazione veniva eseguita continuamente ad intervalli prestabiliti, i ricercatori americani hanno deciso di eseguirla quando si manifestava una specifica attività cerebrale depressiva. Questo ha rappresentato un enorme cambiamento e reso la tecnica più efficace. I ricercatori hanno, infatti, attivato manualmente il dispositivo cerebrale quando appariva una specifica attività cerebrale collegata alla depressione di Sarah e identificato un biomarcatore (uno specifico gruppo di onde cerebrali collegati ai sintomi), mai stato identificato prima nel disturbo depressivo, usandolo per personalizzare il trattamento. La stimolazione cerebrale si attivava, quindi, solo quando e dove si esprimeva il biomarcatore .

I risultati

Il trattamento si è dimostrato molto efficace: grazie alla tecnica del “Deep Brain Stimulation” personalizzata, la donna non è guarita del tutto ma ha avuto un’evidente remissione della depressione. La stimolazione del dispositivo elimina i sintomi quando li identifica, ma non impedisce a questi di presentarsi. “Questo successo - ha affermato il primo autore dello studio, la psichiatra dell'UCSF Katherine Scangos - è un incredibile progresso nella nostra conoscenza della funzione cerebrale che è alla base della malattia mentale. Dobbiamo sottolineare, però, che questo nuovo risultato è stato raggiunto finora solo in una paziente. Dobbiamo fare ulteriori studi prima di poter dire che si tratti di un metodo funzionale anche per altri pazienti affetti da depressione".  

Prossimi obiettivi dei ricercatori

Il biomarcatore molto probabilmente non è uguale per tutti, questo significa che i ricercatori dovranno trovare il biomarcatore di ogni paziente per poterli trattare allo stesso modo. Il team sta già arruolando nuovi pazienti per uno studio per individuare biomarcatori depressivi personalizzati e fornire loro il proprio "pacemaker cerebrale" specializzato. "Dobbiamo osservare come questi circuiti variano tra i pazienti e ripetere questo lavoro più volte. E dobbiamo osservare se il biomarcatore di un individuo o il circuito cerebrale si modifica nel tempo mentre si prosegue con il trattamento", ha detto Scangos.

Nuove prospettive di cura per la depressione

Questo esperimento ha tracciato la strada per nuove possibile cure, ma bisognerà attendere nuove sfide prima che il “pacemaker cerebrale” personalizzato possa diventare una opzione terapeutica valida per i pazienti al di fuori dell'ambiente di ricerca. "Abbiamo sviluppato un approccio di medicina di precisione che ha gestito con successo la depressione resistente al trattamento della nostra paziente identificando e modulando il circuito nel suo cervello, associato in modo univoco ai suoi sintomi", ha detto un ricercatore del team dell'UCSF, lo psichiatria Andrew Krystal. "Lo studio indica la strada per un nuovo paradigma di cui c'è un disperato bisogno in psichiatria”.

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