rotate-mobile
Venerdì, 29 Marzo 2024
Salute

A Napoli chiude la Terapia del dolore, l'ex primario denuncia: “Un’umiliazione per i pazienti terminali”

“Il malato terminale è purtroppo considerato di serie B, non più produttivo per la Società e quindi tale da essere trascurato”, spiega il dott. Montrone

Curare la sofferenza di malati terminali non più suscettibili di cure non è solo un problema etico, ma anche sanitario e sociale. In Italia sono 313.000 i malati terminali che ogni anno necessitano di reti efficienti ed efficaci che garantiscano loro una corretta presa in carico del dolore cronico. Per rispondere a questa necessità, nel 2010 è stata approvata la legge 38 che "tutela e garantisce al malato con malattia inguaribile o affetto da patologia cronica dolorosa, l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore, nell’obiettivo di assicurargli il bisogno di salute, l’equità nell’accesso all’assistenza su tutto il territorio nazionale, la qualità delle cure e la loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze". Tuttavia, una recente survey promossa dall’Associazione Italiana per lo Studio del Dolore ha messo in luce il dato per cui il 74% dei cittadini italiani non è a conoscenza di questa legge. E non è tutto: questo tipo di assistenza non viene garantita in egual mondo in tutte le regioni italiane. Sul territorio nazionale sono 230 gli hospice, ovvero le strutture specializzate pubbliche o convenzionate per i malati terminali che necessitano di cure palliative, per un totale di 2.524 posti letto. La più alta concentrazione è localizzata al Nord - con la Lombardia in prima linea con 65 strutture e oltre 740 posti letto di cui 662 in regime ordinario e 57 in Day-Hospital - e al Centro, dove la popolazione può contare su oltre 2 mila posti letto. Nelle Regioni del Sud e nelle isole sono, invece, in totale 414 i posti letto disponibili per i malati terminali (appena il 16,2% di quelli complessivi), con la Campania che è tra quelle con la più bassa offerta di posti letto.

A ridurre ulteriormente il numero dei posti in Campania sarà la chiusura definitiva della UOC Terapia del dolore e Cure Palliative dell’ospedale Cardarelli di Napoli prevista per ottobre. Il reparto - diretto sin dalla sua apertura nel 1977 dal dott. Vincenzo Montrone, anestesista, rianimatore e pioniere in questo campo della Medicina - è stato il primo centro per le cure palliative dell’Italia Centro-Meridionale. “Purtroppo quella della TDCP è una storia travagliata con momenti di gloria e riconoscimenti scientifici nazionali ed internazionali non compresi ed apprezzati da amministratori poco lungimiranti che ne hanno penalizzato lo sviluppo se non addirittura ostacolato la crescita. Malgrado tutto - ha sottolineato a NapoliToday il dott. Montrone - la U.O. ha prodotto per l’Azienda grandi benefici sia organizzativi che economici e cosa più importante, ha offerto nel corso di tanti anni un servizio di qualità ad una domanda di assistenza fortemente carente nella nostra regione soddisfacendo quindi un bisogno reale e non indotto, come spesso accade in Sanità. Nel corso degli anni, con la forza dei numeri e della qualità espressa è diventata un reparto di eccellenza, tuttavia dopo 45 anni di sacrifici il reparto scomparirà. La chiusura definitiva è un’umiliazione per i pazienti terminali”.

L'intervista di NapoliToday al dott.Vincenzo Montrone, ex primario della UOC Terapia del dolore e Curie Palliative del Cardarelli di Napoli, nonché fondatore della Società Italiana dei Clinici del Dolore e Presidente dell’Associazione No Profit IL NODO.

Dott. Montrone, quali sono le differenze tra terapia del dolore e cure palliative?

“Sono oltre 40 anni che sento questa domanda, e non le nascondo che sono scoraggiato. Intorno a queste due parole “TD" e "CP” si sono fatte battaglie lobbistiche finalizzate ad interessi personali. Purtroppo ancora oggi paghiamo la confusione tassonomica che si è venuta a creare anche a livello legislativo. Per accontentare le singole fazioni, si sono create due distinte definizioni separandone di fatto i tipi di assistenza e di intervento. La “terapia del dolore” riconosciuta come disciplina affine ed equipollente alla anestesiologia e praticata da specialisti anestesisti si dovrebbe occupare deI dolore acuto cronico benigno correlato a malattie oncologiche o meno, mentre le “cure palliative”, non essendo considerate una specializzazione, sono praticabili da tutti, e si rivolgono prevalentemente a pazienti cosiddetti “terminali” (con un approccio multisciplinare si tenta d’alleviare la sofferenza degli inguaribili, per un fine vita dignitoso). Un errore gravissimo separare le due dizioni che è stato da me denunciato in tutte le sedi, congressuali, istituzionali, ma che purtroppo mi ha visto perdente e ormai pensionato, ancora più addolorato per essere sempre più convinto del gravissimo errore fatto”.

Quali pazienti necessitano di cure palliative?

“Le cure palliative si rivolgono a pazienti non più suscettibili di trattamento finalizzato alla guarigione e che si trovano in una fase avanzata ed irreversibile di malattia con un'aspettativa di vita di 3/6 mesi, e che possono essere curati in strutture protette dedicate chiamate Hospice o anche a domicilio”.

Quanti hospice esistono in Campania?

“Numerosi studi stimano il bisogno di Hospice in circa 10 posti letto ogni 100.000 abitanti (1 posto letto X 10.000 abitanti). Considerando che in Campania nell’anno 2019 si censivano 5.801.692 abitanti, avremmo bisogno di 580 posti letto, che significa una media di 58 strutture dotate di 10 posti letto. In Campania siamo ultimi in Italia. L’ultimo censimento AGENAS (Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali) del 2020 censisce sulla carta 14 strutture ed 1 pediatrica. Di queste, poco più della metà sono strutture private accreditate. Se pensiamo che solo nel napoletano le morti per malattie oncologiche sono aumentate del 47% (dati riportati in uno studio dell’Istituto dei Tumori Pascale pubblicato il 26 luglio 2022), ci renderemo conto di quanto siano insufficienti i posti letto ad oggi presenti sul territorio”.

La giornata di ordinaria frustrazione di un paziente oncologico a Napoli: il racconto di un caregiver 

I parenti di un paziente terminale che necessita di cure palliative a chi devono rivolgersi? E di quali servizi erogati dal SSN possono usufruire?

"La legge 38/2010 prevede che il familiare possa richiedere al medico di base l’attivazione della procedura per il ricovero del paziente in uno degli hospice dedicati del distretto sanitario di appartenenza (in Campania non tutti i distretti hanno attivato questo tipo di assistenza), oppure l’attivazione delle Unità di cure palliative domiciliari. Ma la burocrazia rende l’iter lungo e macchinoso. Dopo la richiesta, spesso viene attivato un servizio ADI (Assistenza domiciliare integrata) che non è quello di Cure palliative, perché non tutti i distretti hanno attivato tale servizio, e, dopo qualche giorno, un geriatra farà visita al paziente per valutarne le condizioni di salute. Ovviamente è un percorso terapeutico molto lontano dai bisogni del malato terminale, ma anche quando si riesce ad attivare il servizio di Cure palliative domiciliari, spesso nascono criticità organizzative ed il processo si blocca per le numerose falle del sistema legate soprattutto alla carenza di personale. Solitamente l’infermiere fa visita al paziente una volta ogni due giorni, mentre il medico una volta a settimana, ma questo tipo di assistenza è inefficiente. Un paziente terminale deve essere assistito h24".

E se un'abitazione non è idonea all’assistenza domiciliare?

“Questa è un’altra criticità dell’assistenza domiciliare. Oggi moltissime famiglie non hanno un’abitazione idonea all’assistenza domiciliare: alcune associazioni di volontariato attive nelle regioni del Nord hanno riportato che il 25-26% delle famiglie non posso ricevere l’assistenza domiciliare perché non hanno abitazioni idonee. Ora pensiamo a Napoli, ai bassi napoletani dove le abitazioni sono quasi inagibili: qui è impensabile l’assistenza domiciliare. Ma poi con l’assistenza domiciliare non si fa altro che caricare le famiglie di ulteriori oneri. Perché sia efficiente l’assistenza domiciliare occorre innanzitutto che ci sia un caregiver, ovvero una persona che assista quotidianamente il paziente, e che diventi l’interlocutore dell’equipe di operatori sanitari che si ricano al domicilio. Di solito il caregiver è un familiare che il più delle volte si mette in aspettativa dal lavoro, con un conseguente danno economico che non viene calcolato dalla Società”.

Qual è la situazione attuale sul fronte delle cure palliative domiciliari?

“Assolutamente inefficiente. Ma mi preme ricordare un dato importante che è quello della composizione del nucleo familiare che mostra come il 14,2% sia composto da una persona sola di oltre 60 anni che non può beneficiare dell’assistenza di cure palliative domiciliari, ed a questi si devono aggiungere quelli che non hanno condizioni abitative idonee. Ricordiamo che nel 2018 venivano censiti quasi il 30% di individui in condizioni di povertà relativa (contro il 12% nazionale), un importante indicatore che fa emergere la impossibilità di una assistenza domiciliare che come sappiamo carica i costi in gran parte sulle famiglie”.

Cosa pensa degli ultimi decreti e delle Case di comunità per una migliore assistenza territoriale?

“Mi sembra di capire che i fondi europei del PNRR verranno utilizzati per le strutture. Ma, se non si investirà sulla forza lavoro, intendo su medici, infermieri assistenti sociali, psicologi, OSS, sarà un ulteriore fallimento. Se pensiamo che nell’anno 2016 i presidi residenziali socio-assistenziali e socio-sanitari attivi in Campania erano 464 (0,8 x 10.000 abitanti) a fronte di un numero molto superiore in Italia pari a 2,1 x 10.000 abitanti, e che la situazione attuale sia peggiorata, queste “belle” iniziative serviranno a pco”.

Ma se c’è questa enorme carenza di strutture, come mai sta per chiudere la U.O.C. di Terapia del dolore e Cure Palliative del Cardarelli?

“Lei sta mettendo il dito nella piaga. Insipienza, presunzione, disinteresse verso un malato (quello terminale) che è considerato di serie B, non più produttivo per la Società, e quindi tale da essere trascurato. Da una Sanità ospedalocentrica si è tentato di creare integrazione ospedale-territorio (sulla carta), ed oggi c’è la moda del "tutto sul territorio" (tutto sulla carta e senza risorse umane). Vuole una prova del disinteresse della nostra classe dirigente? La AGENAS, al fine di stilare una rilevazione sulla attuazione e sui programmi futuri in materia di rete di cure palliative, ha inviato dei questionari alle Regioni e contestualmente ha provveduto a chiedere alla Regione la conferma o la modifica dei nominativi dei referenti per le Reti di cure palliative. Ha poi fatto un incontro in modalità videoconferenza il 29 ottobre 2021 con la partecipazione di tutte le Regioni tranne una, la Campania, che non ha ancora attivato, ad oggi, la rete di Cure palliative”.

In Evidenza

Potrebbe interessarti

A Napoli chiude la Terapia del dolore, l'ex primario denuncia: “Un’umiliazione per i pazienti terminali”

Today è in caricamento