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Sabato, 20 Aprile 2024
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Covid nei bambini, il pediatra del Bambin Gesù: “Quali sono i sintomi e perché il vaccino è necessario”

“Nessun aumento dei ricoveri tra i bambini con la variante Delta, ma se il virus continuerà a circolare, tra qualche mese potremmo avere mutazioni molto più aggressive. Anche i più piccoli devono essere protetti come gli adulti”. L’intervista al Dott. A. Campana, responsabile Centro Covid del Bambino Gesù

Con la ripartenza della scuola in presenza, cresce l’ansia nei genitori per il ritorno dei loro figli nelle aule scolastiche. “La scuola - sottolinea a Today il Dott. Andrea Campana – è sicura, a patto che si ripettino le regole anti-Covid”. Con la variante Delta, più contagiosa delle precendenti ma meno aggressiva, non si è verificato un incremento dei casi di positività nei minori. La malattia nei bambini continua a manifestarsi prevalentemente in forma leggera e i casi gravi sono rari. “Ma – spiega Campana – se il virus continuerà a circolare, tra qualche mese potremmo avere mutazioni del virus molto più aggressive. Anche i più piccoli hanno lo stesso diritto degli adulti ad essere protetti attraverso il vaccino”. Ma come si comporta il Covid nei bambini e, in caso di positività, come viene gestita la cura domiciliare? Ne abbiamo parlato con il Dott. Campana, responsabile del Centro Covid dell'ospedale pediatrico Bambino Gesù.

Dott. Campana, negli Usa i casi Covid tra i minori sono aumentati drasticamente nelle ultime settimane. Qual è la situazione in Italia? Quanti sono i bambini ricoverati per Covid al Bambin Gesù?

“Al momento abbiamo solo 3 bambini ricoverati per Covid su 17 posti letto disponibili. I posti letto – voglio ricordare - vengono attivati in base alla situazione epidemiologica del territorio: più aumentano i casi nella popolazione generale, più aumentano i posti letto destinati ai bambini Covid. In questo momento la situazione è tranquilla. Due settimane fa, invece, avevamo il reparto pieno. Ma queste situazioni che cambiano così repentinamente non mi sorprendono. La situazione è simile a quella dell’anno scorso: nel periodo precedente all’estate avevamo più bambini piccoli ricoverati, ma si trattava più che altro di bambini di case famiglia, di famiglie straniere; nei mesi autunnali di settembre/ottobre la situazione è cambiata: sono aumentati i casi di adolescenti italiani ricoverati. Questo spiega chiaramente qual è l’andamento epidemiologico: l’incremento o meno dei casi di positività è legato ai comportamenti, all’utilizzo della mascherina, ecc. Una cosa importante da dire è che ora, a differenza dell’anno scorso, una buona percentuale di adulti e anziani è vaccinata, mentre tra i bambini over 12 solo una piccola percentuale lo è. E' chiaro, quindi, che ci aspettiamo un aumento dei casi tra bambini e ragazzi non vaccinati nelle prossime settimane”.

La riapertura della scuola in presenza potrebbe portare ad un picco di casi tra i più piccoli?

“Io non mi preoccuperei della scuola. Già lo scorso anno abbiamo visto che la scuola non è un luogo di veicolo del contagio tra i bambini. Nelle aule viene rispettato il distanziamento, le maestre sono molto brave e attente a far tenere la mascherina ai loro alunni. A scuola c’è un grande rispetto delle regole anti-Covid. E’ il contesto intorno alla scuola che, invece, mi preoccupa. I momenti più critici non solo quelli vissuti in aula, ma quelli al di fuori, ad esempio il tragitto casa-scuola o la gestione dei positivi (interventi tempestivi in caso di positività e tracciamento dei contatti”.

Lei si augura che il vaccino possa essere offerto anche ai bambini da 0 a 12 anni?

“Ci sono diversi studi in corso sui vaccini Pfizer e Moderna negli under 12. Ci attendiamo che presto ci sia l’approvazione dagli enti regolari del farmaco, europeo e italiano. Ritengo che il vaccino sia molto importante anche nei più piccoli. Fino ad oggi abbiamo ricoverato in terapia intensiva solo 30 bambini su 700 a causa della sindrome infiammatoria multisistemica post-Covid, la MIS-C (Multisystem Inflammatory Syndrome in Children). Questa sindrome non è “grave”, ma se il virus continua a circolare liberamente nei bambini (le categorie al momento più a rischio perché non vaccinati), tra qualche mese potremmo avere delle varianti che sono più aggressive nel bambino, e questo potrebbe portare a situazioni ben più gravi di quelle che abbiamo osservato sino ad ora. E’ giusto, quindi, proteggere i bambini come si fa con i grandi. La decisione di vaccinare o meno i più piccoli è una scelta politica. L’OMS si è espressa dicendo che prima di procedere con la terza dose e con i bambini, sarebbe opportuno vaccinare prima i Paesi in via di sviluppo che attendono ancora la prima dose, perché così facendo riduciamo la circolazione del virus e ostacoliamo la nascita di nuove varianti. Questa è una decisione giusta e condivisibile, ma io come pediatra mi auguro che presto si proceda anche con la vaccinazione nei più piccoli”.

Come si comporta il Covid nei più piccoli?

“Ci tengo a chiarire una cosa: la situazione oggi non è cambiata rispetto ad inizio pandemia, le percentuale di bambini positivi al Covid è rimasta la stessa: i positivi sono circa il 40% del numero totale. Si è solo verificato un aumento della frequenza, ma contestuale al resto della popolazione, con la diffusione della variante Delta, cioè sono aumentati i casi tra i bambini perché sono aumentati i numeri in totale. La percentuale di positivi è sempre la stessa, stesso discorso vale per la percentuale di casi con forme gravi: il virus non è diventato più “banale”, perchè noi oggi dimettiamo il bambino, generalmente, dopo 3 giorni (ma solo perché consociamo il virus), nè più "aggressivo" (solo una percentuale minima di bambini sviluppa le MIS-C). Oltre a queste sindromi infiammatorie multisistemiche, i bambini che rientrano in questo 40%, possono manifestare anche sintomi gastrointestinali, talvolta importanti, che simulano appendiciti, un interessamento miocardico o ematologico, polmoniti. Stiamo parlando di forme più “interessanti”, non “gravi”, rispetto ai bambini che sviluppano solo una forma banalissima di raffreddore, diarree, disidratazioni, dolori articolari, e altri sintomi tipici delle infezioni virali. Generalmente, 1 bambino su 3 viene ricoverato quando ha importanti comorbidità, altrimenti viene curato a casa”.

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Quando si consiglia di fare al bambino il tampone naso-faringeo?

“Il tampone non serve solo per rilevare l’infezione virale, ma per arginare la diffusione del contagio. Quindi, va fatto quando il bambino frequenta la scuola, altri bambini, la comunità. Il tampone non serve tanto per capire se il bambino ha la malattia, ma per proteggere tutti gli altri. Quindi, va fatto sempre in presenza di una sintomatologia febbrile associata a sintomi respiratori, cefalea, e sintomi gastrointestinali con diarree più o meno protratte (sono questi i sintomi più tipici del Covid nel bambino, in genere i sintomi di esordio”.

Come si gestisce la cura domiciliare del bambino positivo al Covid?

“La gran parte dei bambini che arriva da noi è gestita a distanza. Tutti devono seguire le regole che vengono date una volta dimessi dal pronto soccorso: una buona idratazione, utilizzo della tachipirina (paracetamolo) per gestire al meglio la febbre. Poi va fatta una distinzione tra i bambini sani e quelli appartenenti a categorie a rischio, cioè gli obesi, i bambini con malattie ematologiche, oncoematologiche gravi, con malattie reumatologiche che, quindi, assumono farmaci immunosoppressori, asmatici gravi, ecc. A questi bambini spesso si consiglia un trattamento con anticorpi monoclonali, farmaci che possono essere prescritti anche dal medico di famiglia o dal medico del pronto soccorso (le sedute per la somministrazione del farmaco possono essere prenotate per via ambulatoriale)”.

Quale consiglio vuole dare alle mamme?

“Il consiglio è di accudire il proprio bambino come se avesse una normalissima infezione virale, tenerlo sotto controllo, gestirlo con la tachipirina per rendere più confortevole la febbre, fargli mangiare frutta, succhi di frutta per una buona idratazione. Non servono farmaci come il cortisone, utilizzato solo in presenza di una certa condizione respiratoria, ma in tal caso sarebbe necessario il ricovero. Non serve la terapia con antibiotici, come l’azitromicina, che tanto è stata utilizzata nella prima fase della pandemia. Laddove in 4/5 giorni, la sintomatologia sia respiratoria che gastrointestinale non dovesse migliorare, la febbre dovesse essere ancora alta, il bambino dovesse essere sofferente (non riesce ad alimentarsi o a idratarsi adeguatamente), è necessaria una prima valutazione del curante e poi una visita in pronto soccorso per decidere se è opportuno fare qualcosa in più, procedere con una cura a base di anticorpi monoclonali o con ricovero e una terapia più aggressiva”.

E’ vero che i bambini potrebbero essere più vulnerabili, rispetto al passato, ai virus respiratori e alle infezioni stagionali in quanto sono stati sottoesposti ai germi durante i lockdown?

“Non possiamo parlare di maggiore vulnerabilità, ma di maggiore rischio. I bambini non saranno più vulnerabili perché hanno una carica di anticorpi elevata dovuta non solo all’immunità adattiva (che è data dalla produzione di anticorpi memori che proteggono dall’infezione già conosciuta), ma anche all’immunità innata, che è quella che protegge indipendentemente dal contatto con il virus. L’immunità innata nei bambini è fortissima, e si è rivelata essere più protettiva in questi soggetti. Quindi, non mi preoccuperei di una loro maggiore vulnerabilità. Più che altro, mi preoccuperei della disponibilità futura dei posti letto negli ospedali. L’anno scorso abbiamo avuto un abbattimento totale delle infezioni respiratorie, delle influenze stagionali, grazie all’uso della mascherina. Ora è chiaro che se anche quest’anno sarà mantenuto quest’obbligo, avremo un abbattimento come l’anno scorso, altrimenti aumenteranno i casi di bambini con infezioni causate dai virus respiratori tipici della stagione. E non potendo ricoverare i bambini Covid con i bambini non Covid, potremmo ritrovarci posti letto scarsi, con grosse difficoltà gestionali”.

Ha detto che l’immunità innata è più forte nei bambini rispetto agli adulti. E’ questo ad aver reso i più piccoli maggiormente protetti?

“Questo è un argomento molto delicato. Ci sono tante opinioni diverse sul tema. In realtà non si sa ancora. A sostenere questa ipotesi ci sono gli ultimi studi, basati su un’osservazione di fondo, e cioè che i bambini che hanno un’immunità adattativa più debole (per patologie o terapie) non si sono ammalati più degli altri: questo farebbe, quindi, intuire che i bambini sono protetti da qualcos’altro, l’immunità innata”.

In basso, una foto del Dott. Andrea Campana

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