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Martedì, 16 Aprile 2024
Covid e vitamina D

Covid, rischio più alto per chi è carente di vitamina D: in quali alimenti si trova

Alcuni ricercatori israeliani hanno associato la carenza di vitamina D in pazienti Covid ospedalizzati a un aumento della gravità e della mortalità della malattia

In questi due anni di pandemia sono stati condotti numerosi studi sull’effetto protettivo della vitamina D nei confronti del Covid-19, sia in termini di cura che di prevenzione. Prima dell'arrivo del Sars-CoV-2, una meta-analisi del 2017 pubblicata su The Lancet aveva rilevato che l’integrazione di vitamina D è utile per la prevenzione delle infezioni respiratorie acute. Studi precedenti ancora avevano, inoltre, evidenziato un legame tra livelli più bassi di vitamina D e tassi più elevati di malattie respiratorie, come asma, tubercolosi o infezioni virali che compromettono i polmoni. Ma sul Covid-19 i risultati delle ricerche sono ancora oggi incoerenti: alcuni studi hanno trovato un legame tra carenza di vitamina D e vulnerabilità al Covid-19 (in particolare un ricerca pubblicata sul Journal of American Medical Association Network Open aveva dimostrato che le persone con bassi livelli di vitamina D potevano avere fino al 60% di probabilità in più di risultare positive al coronavirus), mentre altri hanno concluso che la vitamina D non è protettiva. Questa vitamina gioca un ruolo importante nella fisiologia umana, perchè, oltre ad essere fondamentale nel metabolismo del calcio e delle ossa, esercita anche una funzione immunomodulante, cioè migliora la risposta immunitaria dell’organismo. Per questo motivo, medici e ricercatori hanno ipotizzato, sin dall'inizio della pandemia, che potesse avere, quando carente, un qualche ruolo anche nel determinare una malattia da Covid-19 più severa. 

A fornire nuove prove scientifiche sul vantaggio della supplementazione di vitamina D nel trattamento della malattia da Covid-19, gli scienziati israeliani della Bar Ilan University e del Galilee Medical Center. Lo studio, pubblicato su PLOS ONE, ha riscontrato come la mancanza di vitamina D aumenta significativamente il rischio di sviluppare una forma grave della malattia causata dal Sars-CoV-2.

Lo studio

Lo studio si basa su una ricerca condotta durante le prime due ondate della pandemia in Israele, prima che i vaccini fossero ampiamente disponibili. In particolare i ricercatori hanno analizzato i livelli di vitamina D di 253 pazienti ricoverati al Galilee Medical Center di Nahariya, in Israele, tra il 7 aprile 2020 e il 4 febbraio 2021, riscontrando una carenza di vitamina D più comune nei pazienti con malattia grave o critica (<20 ng/mL [87,4%]) rispetto agli individui con malattia lieve o moderata (<20 ng/mL [34,3%]). 

A giugno scorso i ricercatori hanno pubblicato i risultati preliminari dello studio mostrando che il 26% dei pazienti morti per Covid aveva una carenza di vitamina D (<20 ng/mL) prima del ricovero, rispetto al 3% con livelli normali, e che i pazienti con carenza di vitamina D (<20 ng/mL) avevano una probabilità 14 volte maggiore di avere una malattia grave  rispetto ai pazienti non carenti.

Carenza di vitamina D riscontrata nel 50% dei pazienti con Covid grave

I ricercatori hanno anche scoperto che circa la metà delle persone che erano carenti di vitamina D prima di contrarre il Covid ha sviluppato una malattia grave, rispetto a meno del 10% delle persone che avevano livelli sufficienti di vitamina D nel sangue. “I risultati - ha affermato il dott. Amiel Dror, del team di ricerca - suggeriscono che la  vitamina D  ha aiutato a rafforzare il sistema immunitario dei pazienti per combattere il virus che ha attaccato il sistema respiratorio. Questo vale per Omicron come per le varianti precedenti”.

Dove viene prodotta la vitamina D 

La maggior parte della vitamina D (80%) viene prodotta dalla cute per effetto dei raggi UVB, mentre il restante 20% proviene dall’alimentazione (pesce azzurro, tuorlo d’uovo, latte e formaggio) o dalla supplementazione, e viene immagazzinata nel fegato e nel tessuto adiposo.

I livelli ottimali di vitamina D

Secondo i Centers for Disease Control and Prevention, I livelli di vitamina D superiori a 20 nanogrammi per millilitro sono considerati sufficienti per la maggior parte delle persone, valore di riferimento utilizzato anche dai ricercatori della Bar-Ilan University e del Galilee Medical Center. Una carenza di vitamina D si verifica, invece, con valori inferiori a 10 ng/ml, una insufficienza con valori dai 10 ai 30 ng/ml, e una tossicità con valori oltre i 100 ng/ml.

La carenza di vitamina D è solo un cofattore

Nonostante i risultati della ricerca israeliana, non si può dire ancora se bassi livelli di vitamina D inducano le persone con Covid-19 a sviluppare una forma grave della malattia, perché le cause che riducono i livelli di vitamina D possono anche rendere le persone più vulnerabili al Covid grave, ad esempio. “Così la carenza di vitamina D - hanno detto i ricercatori - è solo un pezzo del complesso puzzle alla base del Covid grave, oltre ad altri fattori come comorbidità, predisposizione genetica, abitudini alimentari e fattori ambientali. Per questo la nostra ricerca deve essere approfondita con ulteriori studi,per indagare se e quando l'integrazione di vitamina D nei soggetti carenti influisce sull’evoluzione della malattia”. 

La ricerca, quindi, non dimostra che la vitamina D protegge dal Covid. La supplementazione di questa non può essere uno strumento che sostituisce i vaccini che, invece, riducono del 90% (come dimostrano gli studi) il rischio di ospedalizzazione, dopo il terzo richiamo.

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