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Venerdì, 19 Aprile 2024
patologie del cuore

Riparare il cuore senza protesi (anche in Italia): cos'è e come funziona la tecnica "Ozaki"

La tecnica, l’unica al mondo che utilizza esclusivamente il tessuto del paziente per la sostituzione della valvola aortica, funziona: lo dimostrano i risultati dei pazienti trattati al Centro Cardiologico Monzino, pubblicati sulla rivista The Annals of Thoracic Surgery

La tecnica Ozaki, l’unica al mondo che utilizza esclusivamente il tessuto del paziente per la sostituzione della valvola aortica, funziona: lo dimostrano i risultati dei pazienti trattati al Centro Cardiologico Monzino, pubblicati sulla rivista The Annals of Thoracic Surgery. L’esperienza del Monzino, la seconda più ampia a livello internazionale, ha dimostrato una mortalità intraoperatoria pari a zero e l’assenza di eventi avversi maggiori nel 97% dei casi. A 5 anni dall’intervento nessun paziente ha presentato recidive di vizio severo della valvola e nessuno ha dovuto essere rioperato.

Come funziona la tecnica Ozaki

I chirurghi del Monzino non solo utilizzano la tecnica Ozaki ma, come confermano i dati appena pubblicati su Journal of Cardiovascular Computed Tomography, sono in grado di conoscere in dettaglio la reale anatomia della valvola aortica patologica e la dimensione dei nuovi lembi che andranno a creare. La procedura di sostituzione della valvola aortica con la tecnica Ozaki permette infatti al chirurgo di evitare di ricorrere all’impianto della protesi ricreando invece nuovi lembi della valvola aortica dal pericardio del paziente, vale a dire il “sacco” che avvolge il cuore. I nuovi lembi aortici vengono misurati sulla morfologia della valvola nativa e ricostruiti in modo sartoriale. Una volta impiantati sull’anello valvolare i neolembi si comportano come i lembi originari.

“La tecnica Ozaki è una delle maggiori innovazioni in cardiochirurgia degli ultimi dieci anni e al Monzino siamo stati i primi a sperimentarla e svilupparla in Europa – spiega il Professor Gianluca Polvani, Direttore del Dipartimento di Chirurgia cardiovascolare del Centro Cardiologico Monzino e Professore di Cardiochirurgia dell’Università degli Studi di Milano – I dati oggi ci danno ragione: la ricostruzione con tessuto del paziente ottiene gli stessi risultati dell’impianto di una protesi in termini di efficacia, con vantaggi indiscutibili per i pazienti. Il primo grande vantaggio è che la valvola ricostruita non corre il rischio di rigetto e permette al paziente di evitare di dover assumere la terapia anticoagulante dopo l’intervento. Inoltre, l’utilizzo esclusivo di tessuto con DNA proprio, promette una durata della neovalvola molto superiore a quella delle protesi biologiche tradizionali, basate su tessuto animale. Potremmo definirla una sostituzione valvolare biologica autologa”.

La storia della tecnica Ozaki

La procedura è stata messa a punto oltre dieci anni fa dal Prof. Shigeyuki Ozaki, cardiochirurgo giapponese dell’Università di Tokyo, che l’ha esportata negli Stati Uniti e successivamente in Europa, scegliendo il Centro Cardiologico Monzino come sede della Scuola Europea di Specializzazione nella tecnica che porta il suo nome. Dal 2016 ad oggi i pazienti nel mondo operati con la nuova tecnica sono oltre 6000. Il Centro Cardiologico Monzino ha ideato un percorso esclusivo per i pazienti che hanno indicazione all’intervento con la tecnica Ozaki: un team multi specialistico, costituito da cardiochirurghi, ecocardiografisti, anestesisti, radiologi e tecnici di radiologia, ha il compito di valutare e seguire i pazienti dal momento della prima visita fino ai controlli post-operatori. Il paziente è posto al centro di una sinergia di competenze multi specialistiche fondamentali per definire un percorso su misura, ritagliato sulle sue esigenze specifiche (tailored surgery).

“L’ultima novità riguardo alla tecnica Ozaki- conclude Polvani- è la procedura “Promoter” (PReoperative Ozaki Technique Measures On Tridimensional Engineered Root), i cui risultati sono appena apparsi sul Journal of Cardiovascular Computed Tomography. La nuova metodica è stata messa a punto dal team Monzino per ridurre i tempi di asistolia, cioè del periodo dell’intervento durante il quale il cuore del paziente rimane fermo e si rende dunque necessaria la circolazione extracorporea.”

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