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Mercoledì, 24 Aprile 2024
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Vaccini Covid e giovani, l’efficacia è minore negli immunodepressi: “Terza dose necessaria”

Secondo gli studi condotti dall'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, 3 pazienti su 10 non rispondono al vaccino anti SARS-CoV-2, mentre 7 su 10 sviluppano anticorpi ma in quantità inferiori rispetto alle persone sane

L'Agenzia Europea del Farmaco (Ema) raccomanda una “dose addizionale” di vaccino anti-Covid (Pfizer o Moderna) ai soggetti con sistema immunitario gravemente indebolito. Si tratta di una dose aggiuntiva a completamento del ciclo vaccinale primario, somministrata al fine di raggiungere un adeguato livello di risposta immunitaria. D’ora in poi, quindi, per questi pazienti il ciclo sarà di tre dosi (due standard + una addizionale, da somministrare 28 giorni dopo la seconda). La dose aggiuntiva non va, però, confusa con la “dose booster”, intesa come richiamo per i soggetti dai 18 in su con un sistema immunitario normale (e somministrata dopo almeno sei mesi dalla seconda dose) con l'obiettivo di potenziare la risposta contro il Sars-CoV-2. “La raccomandazione - ha spiegato l’Ema - arriva dopo che gli studi hanno dimostrato che una dose extra dei vaccini a mRna, Pfizer e Moderna, ha aumentato la capacità di produrre anticorpi contro il virus che causa il Covid-19 nei pazienti con sistema immunitario indebolito”.

Sull’efficacia dei vaccini anti-Covid nei soggetti giovani con sistema immunitario compromesso, i ricercatori dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù hanno condotto tre studi, dai quali è emerso che 3 pazienti immunodepressi su 10 non rispondono al vaccino anti SARS-CoV-2, mentre 7 su 10 sviluppano anticorpi e linfociti specifici contro il virus, soprattutto dopo la seconda dose, ma in quantità inferiori rispetto alle persone sane. I ricercatori suggeriscono, quindi, la necessità di accrescere il livello di protezione dei più fragili con dosi di richiamo e confermano ulteriormente la sicurezza dei vaccini anti-COVID, in quanto non è emersa nel corso degli studi alcuna reazione avversa significativa.

I tre studi

Gli studi sull’efficacia dei vaccini anti-COVID sugli immunodepressi sono stati condotti dai ricercatori del Bambino Gesù su 3 diverse categorie: un gruppo di 21 pazienti affetti da immunodeficienza primitiva; una coorte di 34 ragazzi e giovani adulti sottoposti a trapianto di cuore e polmone (30 cuore, 2 cuore-rene, 2 polmone) e un gruppo di 45 giovani con trapianto di fegato e rene (12 fegato, 33 rene).

Lo studio Convers

Le indagini sui pazienti con immunodeficienza primitiva e sul gruppo di trapiantati cuore/polmone sono state condotte dall’Unità di ricerca di Immunologia clinica e Vaccinologia, e sono state pubblicate, rispettivamente, sulle riviste scientifiche Frontiers in Immunology e Transplantation. Entrambe fanno parte di uno studio più ampio, denominato CONVERS, a cura dei medici e dei ricercatori guidati dal prof. Paolo Palma, che include altre 3 ricerche in via di conclusione su pazienti con infezione perinatale da HIV, malattia infiammatoria cronica intestinale e Sindrome di Down.

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Lo studio sui giovani con trapianto di fegato e rene

Lo studio sui giovani con trapianto di fegato e rene è stato, invece, coordinato dai ricercatori della struttura complessa di Follow-up Trapianto renale guidata dal dott. Luca Dello Strologo. Su tutti i pazienti inclusi nei 3 studi è stata analizzata sia la risposta sierologica al vaccino (cioè la quantità di anticorpi presenti nel sangue), sia la risposta cellulare (ovvero la presenza di linfociti T specifici contro il SARS-CoV-2 e, nel caso dei trapiantati di fegato e rene, dei linfociti B). I dati sono stati poi confrontati con quelli di gruppi di controllo composti da persone sane, sottoposte alla vaccinazione anti-COVID nello stesso periodo.  

I risultati

Dai tre studi emerge che, in media, il 30% dei pazienti immunodepressi non sviluppa alcuna forma di immunità al virus, mentre il restante 70% risponde al vaccino, soprattutto dopo la seconda dose, ma in misura minore rispetto ai soggetti sani (meno anticorpi e meno linfociti specifici contro il SARS-CoV-2) e con delle differenze da gruppo a gruppo.  

Pazienti con immunodeficienza primitiva

L’analisi sierologica effettuata dopo la seconda dose di vaccino ha rilevato che il 14% dei ragazzi non ha sviluppato anticorpi. Sul restante 86% è stata riscontrata una buona risposta anticorpale, benché inferiore al dato medio del gruppo di controllo. L’analisi cellulare ha invece rilevato l’assenza dei linfociti T specifici nel 24% dei soggetti inclusi nello studio.   

Pazienti con trapianto di cuore e polmone

Al termine del ciclo vaccinale il 31% dei giovani inclusi nello studio non ha sviluppato anticorpi. Sul restante 69% è stata registrata una risposta anticorpale, ma a livelli significativamente inferiori a quelli del gruppo di controllo. Stesse percentuali sul fronte dell’analisi cellulare: nessun incremento di linfociti T SARS-CoV2 specifici per il 31% dei pazienti.  

Pazienti con trapianto di fegato e rene

Dopo la seconda dose ha risposto al vaccino l’83% dei trapiantati di fegato e il 58% dei trapiantati di rene, con una sostanziale concordanza tra risposta sierologica e cellulare. "La diversa risposta al vaccino tra i trapiantati di fegato e il gruppo sottoposto al trapianto di rene – spiega il dott. Luca Dello Strologo, responsabile della struttura di Follow-up Trapianto renale del Bambino Gesù - sembra correlata al tipo di immunosoppressori somministrati. Alcuni farmaci più di altri, infatti, interferiscono sulla capacità dell’organismo di attivare la risposta immunitaria a seguito di uno stimolo immunogeno".  

L’importanza della terza dose

"I risultati dei nostri studi dimostrano che è indispensabile proteggere le categorie più fragili somministrando la terza dose di vaccino, calibrando i dosaggi o ricorrendo a nuove formulazioni vaccinali adiuvate in grado di potenziare la risposta immunitaria al virus e mantenerla nel tempo" sottolinea il prof. Paolo Palma, responsabile di Immunologia clinica e Vaccinologia del Bambino Gesù. "Al tempo stesso è necessario raggiungere una copertura vaccinale quanto più estesa possibile. Il rischio di infezione è maggiore tra i bambini e i ragazzi immunodepressi. Ognuno di noi, con il proprio vaccino, è responsabile anche della loro salute".  

Il vaccino anti-Covid è sicuro

Tutti gli studi confermano la sicurezza del vaccino anti SARS-CoV-2 anche sulle categorie più fragili: nei tre gruppi analizzati, dopo la somministrazione delle dosi sono stati registrati solo effetti collaterali transitori e di lieve entità. In nessun caso è stato necessario il ricovero ospedaliero.

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