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Giovedì, 25 Aprile 2024
Orologio biologico

A che ora dobbiamo andare a dormire per un sonno di qualità?

"Per vivere più a lungo e in salute dobbiamo riappropriarci del concetto che il sonno notturno rappresenta una componente essenziale della nostra vita". L'intervista al professor Roberto Manfredini, esperto di cronobiologia

Ognuno di noi ha un proprio orologio biologico interno della durata di 24 ore, che scandisce le giornate in base all’alternanza luce/buio e si ripete ciclicamente. Questo meccanismo particolarmente complesso, chiamato ritmo circadiano (dal latino "circa diem", che vuol dire “intorno al giorno”), funziona come un vero e proprio orologio, adattandosi alle diverse fasi della giornata. Poiché regola moltissime funzioni vitali (tra cui quelle che concorrono alla fisiologia del sistema immunitario, del sistema endocrino, del metabolismo, del comportamento, del ritmo sonno-veglia, dell’apparato cardiovascolare, dell’apparato gastroenterico, e così via), deve essere perfettamente allineato con l’ambiente esterno. Quando questo non accade (pensiamo, ad esempio, ai lavoratori che effettuano turni notturni), l’organismo ne risente a livello psico-fisico, e possono comparire problemi di vario genere come disturbi del sonno, alterazioni del metabolismo (con un conseguente aumento del peso), riduzione della capacità di concentrazione, nervosismo, stress.

Roberto Manfredini, professore ordinario di Medicina interna dell’Università di Ferrara, esperto di cronobiologia, ci accompagna in un viaggio alla scoperta dei ritmi biologici e della cronobiologia, suggerendo come possiamo utilizzare al meglio il nostro orologio interiore per vivere più a lungo e in salute.

Prof. Manfredini, tra i ritmi biologici più studiati, vi è quello con periodicità di 24 ore, detto "ritmo circadiano". Perché è così importante, e in che modo consente all’organismo di sincronizzarsi e reagire adeguatamente ai cambiamenti ambientali, come l’alternanza luce/ buio?

“La Terra completa un ciclo di rotazione sul proprio asse con un periodo di circa 24 ore (circa diem, da cui il termine circadiano), alternando una parte della giornata illuminata ed una buia. Le funzioni biologiche di ogni essere vivente sulla Terra si sono quindi organizzate sulla base dell’alternanza luce/buio, che rappresenta il sincronizzatore più importante dell’orologio biologico principale. In realtà quindi è grazie alla alternanza ritmica luce/buio che ogni cellula, tessuto, organo o essere vivente organizza la propria vita. Ovviamente deve esserci un vantaggio biologico se questa organizzazione ritmica è presente da centinaia di migliaia di anni nel DNA degli esseri viventi. Il vantaggio si definisce ‘anticipazione’: ovvero se un fenomeno è ritmico, quindi riproducibile e prevedibile, ogni cellula, tessuto, organo o essere vivente si ‘organizza’ al meglio per trarre il vantaggio migliore da certi momenti o difendersi meglio da eventi negativi in altri”.

L’andamento di questi bioritmi viene regolato da un orologio biologico principale. Dove si trova nell'organismo e come funziona?

“L’orologio biologico che per primo è stato identificato, e definito ‘principale’ o ‘masterclock’, si trova nel cervello, e più precisamente nell’ipotalamo (vicino alla ghiandola ipofisi), in una piccolissima area denominata Nucleo Sopra-Chiasmatico, dove sono localizzate alcune cellule altamente specializzate dotate di attività pacemaker, ovvero di dettare il ritmo alle altre. Il meccanismo di funzionamento, molto complesso e che è valso nel 2017 il Premio Nobel per la Medicina e Fisiologia a Jeffrey Hall, Michael Rosbash e Michael Young, si basa su una serie di geni orologio (CCG o clock controlled genes) che codificano per le rispettive proteine. Queste proteine, arrivate ad una certo punto della produzione si stoppano, vanno incontro a degradazione e conseguente riduzione di concentrazione, e il meccanismo riparte da capo il giorno dopo. Negli ultimi anni sono poi stati scoperti orologi biologici (definiti ‘secondari’) a carico di quasi tutti gli organi, che rispondono sì all’orologio biologico principale e al sincronizzatore luce/buio, ma anche a regolatori che riguardano la loro funzione. Ad esempio, il ritmo dei pasti è il sincronizzatore per l’apparato gastroenterico, l’attività fisica per l’apparato muscolo-scheletrico, e così via. Come in una grande orchestra, il risultato di eccellenza sta nella organizzazione perfettamente coordinata fra il maestro d’orchestra (orologio biologico principale) e i musicisti di ogni strumento (orologi biologici periferici)”.

E’ più salutare dormire sul lato sinistro o destro? 

Cosa accade all’organismo se l'orologio biologico e il ciclo esterno luce-buio sono disallineati? Ad esempio, se si dorme di giorno e non di notte?

“Da sempre, nella vita dell’uomo, luce ha significato attività e buio invece riposo. La melatonina, ormone che aiuta a regolare il sonno, è prodotta infatti con il buio e inibita dalla luce. Questo è valso sino a due secoli fa, quando l’avvento della luce elettrica ha consentito di illuminare a giorno qualsiasi ambiente, e quindi di lavorare anche di notte, con un ciclo di produzione continuo. Con la messa in pensione della lampadina a bulbo incandescente, sostituita dalla più economica luce LED, l’illuminazione sia ambientale che domestica è aumentata in certe aree della Terra in maniera così esagerata da coniare il termine ‘inquinamento luminoso’. Il dormire di giorno e stare sveglio la notte non è fisiologico, ma qualcuno vi è costretto. Nel mondo moderno, circa il 30% dei lavoratori effettua turni notturni e per questo la medicina del lavoro consiglia turni con rotazioni brevi, in modo da non ‘abituare’ l’orologio biologico ad un ritmo per alcuni giorni e poi a cambiarlo e così via. Esiste infatti una vera e propria sindrome definita ‘del lavoratore turnista’”.

Quali disturbi può causare l’alterazione dei ritmi circadiani? E in che modo secondo lei la cronobiologia potrebbe modificare l’approccio clinico migliorando la cura dei pazienti?

“I disturbi da sfasamento dei ritmi (il termine tecnico è ‘desincronizzazione’) sono molti e a carico di diversi organi, se ricordiamo come esistano numerosi orologi biologici. Alcuni esempi sono disturbi del sonno in svariate forme (sonno accorciato, allungato, frazionato, con disturbo a prendere sonno, o con risveglio precoce) cui fanno seguito sonnolenza diurna, riduzione della capacità di concentrazione, di memoria, di velocità nei riflessi e quindi anche di performance; disturbi del tono dell’umore, con depressione, ansia, irritabilità; disturbi gastrointestinali, come poco appetito, difficoltà di digestione, fame in orari sbagliati; disturbi del metabolismo, come resistenza all’insulina, ridotta tolleranza al glucosio, sindrome metabolica, diabete mellito; disturbi dell’apparato cardiovascolare, con ipertensione arteriosa e, visti anche gli aspetti dismetabolici, un aumentato rischio cardiovascolare. L’azione di blocco sulla melatonina, conseguente alla esposizione notturna alla luce, è anche sotto osservazione per un potenziale ruolo carcinogeno”.

In che modo la desincronizzazione incide sul senso di fame (e di conseguenza sull’aumento di peso) e sull’umore?

“Di notte, il nostro organismo è organizzato per non ricevere cibo e la concentrazione di glucosio nel sangue è particolarmente elevata (in tutti, non solo nelle persone con diabete). Stare svegli la notte, e andare incontro a deprivazione da sonno, favorisce l’aumento dell’appetito (aumenta l’orexina, ormone dell’appetito e si riducono leptina e grelina, ormoni della sazietà), con facilità a introdurre cibo il più delle volte poco sano (merendine, cibi grassi, bevande gassate) e conseguente ripercussione sulla glicemia, aumentano cortisolo e adrenalina, ormoni dello stress, anch’essi con effetti sulla glicemia. A lungo andare, le conseguenze sullo stato del metabolismo sono inevitabili. Esiste anche un’azione del buio sul tono dell’umore, che non vale tanto per notte/giorno ma per quanto riguarda le giornate buie. Nei Paesi nordici, ad esempio, dove sono presenti lunghissimi inverni, l’aumento della melatonina e la riduzione della serotonina facilitano sonnolenza, depressione del tono dell’umore, specie nel sesso femminile. Una reazione è ricorrere a dolci e cioccolata (che è nota per l’effetto positivo sull’umore) con però aumento di peso, e peggioramento dello stato di depressione. La terapia più adatta in questi casi è proprio l’appropriato uso della luce (fototerapia) in centri specialistiche ed attrezzature idonee”.

Come possiamo rispettare i cicli del sonno? Esistono buone regole da mettere in pratica per favorire il riposo notturno e ripristinare il normale ciclo sonno-veglia?

“Riappropriarci del concetto che il sonno notturno rappresenta una componente essenziale della nostra vita e non uno ‘spreco di tempo’. Ricordiamo che la deprivazione completa del sonno, in modelli sperimentali, è mortale. Durante il sonno notturno (profondo), il cervello, per esempio, tra le tante attività, si detossifica eliminando le scorie tossiche responsabili di patologie neurodegenerative, costruisce nuove sinapsi e migliora le capacità di apprendimento e memoria, e inoltre attiva il sistema immunitario garantendo una più efficace risposta alle infezioni. Quindi, andare a coricarsi fra le 23 e le 24, garantirsi la giusta quota individuale di sonno di qualità (non di quantità, come banalmente si è sempre detto) che consenta di sentirsi riposati e tonici al mattino, e non stanchi e sonnolenti. Non abusare del sonnellino quotidiano: 15-20 minuti fanno bene al nostro organismo, che poi è più produttivo, ma periodi più lunghi di pennichella consumano il fabbisogno di sonno giornaliero così che la notte si resta svegli. Non praticare sport o attività fisica impegnativa la sera (endorfine=eccitazione=insonnia), stare leggeri a cena, non esporsi alla luce blu (smartphone, tablet, pc, ebook ecc) dopo le 21, per evitare il blocco della melatonina (più forte e durevole per la luce blu rispetto alla luce ‘normale’). E, anche se può sembrare strano, ricordare che la luce naturale al mattino è il miglior sincronizzatore dei ritmi dell’organismo che ci sia. Basta una passeggiata di 15-30 minuti”.

Roberto Manfredini, professore ordinario di Medicina interna dell’Università di Ferrara

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