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Venerdì, 19 Aprile 2024
Transizione di genere

Transizione di genere, come si cambia sesso biologico: risponde l'andrologo

Dalla diagnosi di disforia di genere all'intervento, il dott. Marco Capece, esperto in chirurgia ricostruttiva dell’apparato genitale maschile, spiega in cosa consiste l'operazione di riconversione genitale

Ogni anno in Italia vengono effettuati circa 100 interventi di riassegnazione di genere. La transizione fisica da maschio a femmina, e viceversa, è un percorso individuale e personale che inizia con la diagnosi di “disforia di genere” (caratterizzata da una intensa e persistente sofferenza causata da un’incongruenza tra la propria identità di genere e il proprio genere/sesso) e termina con l’intervento (o più interventi) per il cambio di sesso. Il genere è un attributo assegnato alla nascita in base all’anatomia dei genitali, e si riferisce a caratteristiche che dipendono da fattori culturali, sociali, psicologici che definiscono comportamenti considerati ‘tipici ‘per l'uomo e per la donna. Sentire di appartenere intimamente all'uno o l'altro, costituisce l’identità di genere. Tuttavia, è possibile che una persona non si riconosca nel suo sesso biologico o nel suo genere “assegnato” alla nascita: questo fenomeno è definito nel Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM) come “Disforia di genere” (dal greco "mal sopportare"). E’ bene precisare che questa condizione è indipendente dall’orientamento sessuale: ciò significa che un transessuale da maschio a femmina (MtF) può essere eterosessuale o lesbica, così come un transessuale da femmina a maschio (FtM) può essere eterosessuale o gay. Dal 2013, con la pubblicazione della quinta edizione del DSM, la disforia di genere non è più considerata un disturbo mentale ma una situazione in cui il soggetto transgender è perfettamente in grado di intendere e di volere, e può manifestare il desiderio di cambiare i propri connotati sessuali con un intervento chirurgico.

“In Italia - spiega a Today l'andrologo Marco Capece, esperto in chirurgia ricostruttiva dell’apparato genitale maschile presso la Scuola di Specializzazione in Urologia dell’Università degli Studi Federico II di Napoli - si segue il protocollo ONIG, che prevede un sostegno psicologico per una durata minima di sei mesi, volto ad accertare la presenza di una disforia di genere. Successivamente il paziente potrà rivolgersi a uno specialista endocrinologo per iniziare la terapia ormonale (la cosiddetta TOS o Terapia Ormonale Sostitutiva), e parallelamente potrà cominciare l’iter burocratico che si concluderà con l’emissione, da parte del tribunale di competenza, della sentenza che autorizza la rettifica di attribuzione del sesso e il cambio del nome sui documenti. Soltanto dopo l’adempimento di questo step il paziente potrà sottoporsi all’intervento di riassegnazione dei caratteri sessuali”.

Dott. Capece, la terapia ormonale segue la diagnosi di disforia di genere. Perché questa tappa è estremamente delicata?

“La terapia ormonale ha un ruolo cruciale, perchè la soddisfazione per gli effetti ormonali aiuta a consolidare l'identità della persona e rafforza la volontà di continuare il percorso intrapreso. La modificazione ormonale ha due obiettivi: ridurre i caratteri sessuali secondari del sesso di origine e indurre i caratteri sessuali secondari del nuovo sesso. I farmaci attualmente utilizzati nei maschi biologici sono gli anti-androgeni e gli estrogeni, mentre nelle femmine biologiche si utilizza il testosterone e i progestinici per bloccare le emorragie mestruali”.

Una volta completati il percorso ormonale e quello legale, non tutti scelgono di procedere con l’intervento chirurgico. Chi invece decide di farlo, a chi deve rivolgersi?

“È necessario che il paziente si rivolga a uno specialista Urologo-Andrologo che abbia fatto un adeguato percorso di formazione in chirurgia ricostruttiva per quanto riguarda la ricostruzione genitale di ambo i sessi. Anche molti chirurghi plastici si occupano di chirurgia di riassegnazione di genere, infatti spesso collaboriamo in equipe multidisciplinari”.

Quali devono essere i requisiti pre-operatori per il cambio di sesso? Esiste un’età minima?

“La domanda è molto spinosa. Sebbene non vi siano leggi in Italia che fissino un’età ben precisa, attualmente non vi sono precedenti di pazienti che hanno cominciato il percorso di transizione prima dei 14 anni. Per quanto riguarda i requisiti pre-operatori devono essere prese in considerazione alcune caratteristiche anatomiche come le dimensioni del pene e dello scroto in caso di vaginoplastica con flap peno-scrotale, e soprattutto vanno comprese le reali aspettative del paziente riguardo l’accettazione di eventuali cicatrici, la modalità della minzione e dell’eventuale rapporto sessuale”.

 Quali sono le tecniche chirurgiche utilizzate per la riassegnazione sessuale da donna a uomo? 

“L’intervento di riassegnazione dei caratteri sessuali genitali maschili prende il nome di falloplastica e prevede la realizzazione di un neofallo mediante l’utilizzo di un lembo chirurgico che può essere prelevato dall’addome, dalla coscia, dal dorso o dall’avambraccio. È opportuno precisare che il paziente potrà sottoporsi in un secondo momento ad altri interventi chirurgici quali la scultura del glande per ricreare il solco balano-prepuziale, la vaginectomia e l’inserimento di una protesi peniena. Esiste una variante della falloplastica nota come metoidioplastica che può essere indicata in pazienti selezionati. Tale intervento chirurgico prevede la costruzione di un neo-fallo di piccole dimensioni sfruttando dell’ipertrofia clitoridea indotta dall’assunzione di testosterone”.

Quali “funzioni” garantiscono all’organo sessuale?

“Un neofallo ideale dovrebbe permettere di urinare in stazione eretta e di avere rapporti penetrativi con un buon livello di sensibilità agli stimoli erogeni. Tuttavia questi obiettivi non sono ugualmente raggiunti da tutte le tecniche e ciò va discusso ampiamente con il paziente prima di sottoporsi ad un determinato intervento di falloplastica”.

Quali sono, invece, le tecniche chirurgiche utilizzate per la riassegnazione sessuale da uomo a donna?

“La tecnica più diffusa per la vaginoplastica è il flap peno-scrotale. Questa consiste nella creazione di una neovagina grazie ai tessuti ricavati dallo scroto e dal pene. Modellando il glande è possibile ricostruire un neoclitoride con buoni risultati sulle sensazioni erogene”.

Quali “funzioni” garantiscono all’organo sessuale?

“La neovagina ideale dovrebbe rendere possibile i rapporti di tipo penetrativo consentendo il raggiungimento dell’orgasmo tramite la stimolazione del neoclitoride. Bisogna sottolineare che la profondità della cavità dipende dalla quantità di tessuto disponibile derivante da pene e scroto, e da un corretta gestione post-operatoria della neovagina. La paziente, infatti, viene istruita all’uso di dilatatori vaginali dopo l’intervento al fine di mantenere pervia la cavità vaginale ottenuta”.

Quali sono i rischi di questi interventi?

“Qualsiasi procedura chirurgica non è esente da rischi. Le complicanze legate a questi interventi sono di varia natura e comprendono: infezioni, emorragie, fistole, inestetismi, necrosi cutanee ed eventuali perdite del neofallo o della neovagina. Possono essere importanti a tal punto da poter richiedere altri interventi per risolvere le complicanze stesse. Tutti i pazienti che decidono di sottoporsi a questo tipo di chirurgia estremamente complessa sono a conoscenza di tali problematiche”.

Come mai molti decidono di rivolgersi a strutture all’estero? Tanti optano per la Thailandia...

"L’intervento chirurgico di riassegnazione di genere dei caratteri genitali è completamento a carico del SSN per i pazienti che hanno completato l’iter diagnostico e burocratico. Detto questo, le ragioni per cui molti si rivolgono all'estero possono essere diverse. Sicuramente i colleghi che lavorano all’estero sono bravi ed hanno casistiche storicamente importanti. Io in primis sono stato all’estero per diversi anni, all’University College London Hospital, prima di tornare in Italia. Tuttavia, va precisato che la stragrande maggioranza dei centri esteri, come ad esempio in Thailandia, sono privati, ma nonostante questo i costi complessivi di tali interventi (nonostante i viaggi ed i pernottamenti) risultano inferiori agli stessi interventi effettuati privatamente in Italia. Questa può essere una motivazione. D'altra parte però, c’è una tendenza a sottovalutare tutto ciò che viene fatto in casa nostra, e verosimilmente c’è anche un problema di comunicazione. Infatti, pochi pazienti sanno che la chirurgia di riassegnazione di genere viene fatta ad altissimi livelli anche nel nostro Paese in diverse strutture di eccellenza”.

Quali sono i centri in Italia che effettuano questo tipo di interventi?

“I centri specializzati in questo tipo di chirurgia sono pochi e purtroppo le liste di attesa sono molto lunghe. Tra questi possiamo menzionare l’ospedale Careggi di Firenze, l’ AOU Pisana, l’Ospedale Molinette di Torino, l’AOU Riuniti di Trieste e la struttura presso cui lavoro ovvero l’AOU Federico II di Napoli”.

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