Trovati i geni responsabili dell'infarto
I risultati di questa nuova ricerca potrebbero aiutare i medici ad identificare facilmente le persone ad alto rischio e sviluppare trattamenti e interventi preventivi più efficaci
Secondo l‘Organizzazione Mondiale della Sanità, il numero di morti legati a problemi cardiaci è in costante aumento da oltre 20 anni. Se oggi si contano circa 17,6 milioni decessi all’anno, si stima che nel 2030 i morti saranno 24 milioni (rapporto 2019 dell'American Heart Association). Una tendenza preoccupante, che fa delle malattie cardiovascolari la principale causa di morte nel mondo e in Italia, dove si registrano 240 mila decessi ogni anno. La forma più comune di malattia cardiaca è la malattia coronarica (prima causa dell'infarto), determinata da un accumulo di placche (depositi di grassi) sulle pareti delle arterie. Sebbene siano noti i fattori di rischio 'modificabili' (sui quali è possibile intervenire per ridurre l’impatto della malattia aterosclerotica) - come colesterolo, ipertensione, diabete, obesità, fumo e alcol -, esistono anche dei fattori genetici (ereditati) che contribuiscono al suo sviluppo ma rimangono ancora oscuri.
Ora i ricercatori dell'Università della Virginia (UVA) hanno identificato le varianti genetiche che influenzano il rischio della malattia coronarica, e scoperto un gene in particolare che sembra avere un effetto protettivo. I risultati potrebbero aiutare i medici ad identificare le persone ad alto rischio e sviluppare trattamenti e interventi preventivi migliori. "Ci aspettiamo che le nostre scoperte forniscano un ricco catalogo di geni che la comunità cardiovascolare dovrà studiare negli anni a venire - ha affermato Mete Civelek, ricercatore senior dello studio -. E, naturalmente, speriamo che alcuni di questi geni diventino obiettivi di una nuova classe di farmaci che mirano allo sviluppo della placca nelle arterie a beneficio di milioni di pazienti". La ricerca è stata pubblicata sulla rivista scientifica Circulation Research.
Cos’è la malattia coronarica
La malattia coronarica è causata dall’accumulo di depositi di grassi (placche) sulle pareti delle arterie coronarie determinandone un restringimento. Tale restringimento riduce il flusso sanguigno e dell’ossigeno al muscolo cardiaco (ischemia) ed aumenta il rischio che si formi un coagulo che, bloccando l'arteria, causa un attacco di cuore. L’ischemia è cronica quando il restringimento dell'arteria coronaria si verifica nel tempo, o acuta, se deriva da un'improvvisa rottura di una placca e dalla formazione di un trombo o di un coagulo di sangue nell’arteria. Gli scienziati sanno che il rischio di malattia coronarica è influenzato da molti fattori modificabili, come la dieta, il fumo, l’alcol, l'esercizio fisico ed altri, tuttavia anche la storia familiare e l’ereditarietà conta, ma ad oggi il ruolo dei geni rimane ancora poco compreso.
"Gli attuali farmaci per la malattia coronarica trattano i fattori di rischio, come il colesterolo o l'ipertensione - ha affermato Civelek -. I nostri studi hanno utilizzato un approccio diverso, quello genetico, per identificare i meccanismi molecolari in atto sulla parete dei vasi sanguigni che sviluppano la malattia".
Infarto, come riconoscere i sintomi e quando intervenire: le indicazioni dell’esperto
Lo studio
Per capire meglio cosa succede all'interno dei vasi sanguigni che porta alla malattia coronarica, i ricercatori UVA hanno utilizzato un approccio genetico. Hanno esaminato le cellule di 151 donatori di cuore precedentemente sani provenienti di diverse etnie, e ricavato un'enorme quantità di informazioni sull'attività dei geni nelle cellule muscolari lisce. Queste cellule rivestono naturalmente le arterie, ma possono anche fungere da base per le placche di grasso che si accumulano all'interno di esse. Quell'accumulo, noto come aterosclerosi, causa la malattia coronarica.
Detto questo, i ricercatori hanno esaminato in particolare 12 diverse caratteristiche delle cellule muscolari lisce che influenzano la stabilità delle placche. La stabilità è molto importante poiché le placche che si staccano possono causare ictus o infarti.
Alcune varianti genetiche contribuiscono alla formazione delle placche
Per determinare in che modo i geni stavano influenzando le cellule muscolari lisce, i ricercatori hanno confrontato i loro dati sull’attività genica con quelli disponibili in letteratura, e scoperto che le variazioni genetiche presenti in natura hanno "un'influenza significativa" sulle funzioni di queste cellule che portano all'aterosclerosi e alla malattia aterosclerotica. Queste varianti, hanno scoperto gli scienziati, influenzano il comportamento delle cellule muscolari lisce, il modo in cui proliferano, migrano e calcificano. La comprensione di questi cambiamenti fa dunque luce sulla formazione della placca (aterosclerosi) e, in ultima analisi, sui meccanismi molecolari responsabili della malattia coronarica.
"Abbiamo scoperto - ha affermato Rédouane Aherrahrou, nel team di Civelek - che quasi la metà delle varianti genetiche che aumentano il rischio di malattia coronarica influiscono anche sul comportamento delle cellule muscolari lisce. Ciò implica che dovremmo studiare queste cellule in modo più dettagliato quando si tratta di comprendere il rischio ereditario di malattia coronarica". "Gli attuali farmaci che i medici prescrivono - ha aggiunto Civelek - lavorano per ridurre i fattori di rischio per le malattie cardiache, come i farmaci per abbassare il colesterolo. Tuttavia, dobbiamo identificare i farmaci che prendono di mira la malattia dove si sviluppa. Ecco perché è importante trovare i geni responsabili dello sviluppo della malattia nelle arterie, perché è lì che si formano le placche".
L’effetto protettivo del gene MIA3
Il team di Civelek ha anche identificato un gene, MIA3, che sembra molto importante per garantire cappucci protettivi spessi e stabili, sopra le lesioni della placca. Il gene produce una proteina che sembra avere effetti benefici per la formazione del cappuccio, promuovendo la proliferazione delle cellule muscolari lisce. D’altra parte, negli esperimenti di laboratorio, la riduzione dell'attività del gene ha suggerito cappucci più sottili e meno stabili. "Se riusciamo ad aumentare l'abbondanza della proteina MIA3 nelle cellule muscolari lisce - ha detto Civelek - potremmo essere in grado di stabilizzare le lesioni della placca e prevenire gli attacchi di cuore".
La scoperta traccia la strada allo sviluppo di nuove terapie
Con questo studio, i ricercatori sono riusciti ad individuare i colpevoli responsabili della malattia coronarica in una gamma molto ampia di potenziali geni 'sospetti'. Ciò offre nuovi obiettivi di ricerca al fine di sviluppare trattamenti più efficaci. "Gli studi genetici condotti su oltre 1 milione di persone negli ultimi 15 anni hanno identificato centinaia di posizioni sui nostri cromosomi che aumentano il rischio di avere un attacco di cuore - ha affermato Civelek -. Ora abbiamo identificato i geni responsabili di questo rischio in questi luoghi. Saremo in grado di utilizzare questi risultati come nuovi bersagli terapeutici".
L’infarto nelle donne è più silenzioso
La nuova ricerca fornisce molte informazioni importanti sulla malattia coronarica, ma evidenzia anche notevoli differenze tra uomini e donne. In particolare i ricercatori hanno osservato differenze tra i due sessi nell'attività genica nelle cellule muscolari lisce. Questo dato potrebbe in parte spiegare perché l’infarto non presenta gli stessi sintomi negli uomini e nelle donne. In queste ultime, i sintomi tipici sono in genere più attenuati e meno impattanti (molte volte il dolore manca, è localizzato in altra sede o è confuso con quello derivato da altre patologie), rendendo più difficile la diagnosi. Per questo motivo si dice che l’infarto femminile è peggiore di quello maschile. Secondo la Fondazione Spagnola per il Cuore, gli uomini hanno il 30% di probabilità di morire dopo un attacco cardiaco, mentre per le donne la percentuale è del 50%.
Nelle donne, le malattie cardiovascolari si presentano con un ritardo di almeno 10 anni rispetto agli uomini. Questo perché fino alla menopausa sono protette dagli estrogeni, ma in seguito vengono colpite anche più degli uomini. E’, dunque, importante ma sottovalutare i sintomi, neanche i più lievi.