rotate-mobile
Mercoledì, 24 Aprile 2024
Salute

La giornata di ordinaria frustrazione di un paziente oncologico a Napoli

Pubblichiamo la lettera di un caregiver: "E' possibile ed accettabile che la terza città d'Italia abbia un reparto di oncologia in queste condizioni? E' giusto far passare queste pene a pazienti anziani che hanno sostenuto il Sistema Sanitario Nazionale con le tasse per tutta la vita?"

Da diversi anni accompagno mia madre al Policlinico di Napoli per visite e terapie oncologiche con cadenza settimanale. Fortunatamente non abitiamo lontano dal nosocomio, dunque il percorso in auto è breve e abbastanza agevole. Una volta giunti all'interno del comprensorio, iniziano già i primi problemi con il parcheggio poichè a ridosso del padiglione le auto sono posteggiate ovunque, così molti sono costretti ad attendere i propri familiari in auto nella speranza che si liberi un posto per poterli raggiungere al più presto. Il padiglione è molto affollato, e anche i posti a sedere scarseggiano, molti sono costretti a restare in piedi. Un primo corridoio d'attesa ha gruppi di sedie, tutte diverse tra loro, alcune delle quali sono rotte come ben ‘ricorda’ un cartello in terra da mesi: "sedie rotte". Il corridoio porta alla sala d'attesa vera e propria che ha molti posti a sedere, ma comunque non bastano per tutti: se ne potrebbero aggiungere altri e sostituire le sedie rotte. La gran parte dei pazienti in attesa di essere visitati e sottoposti a terapia è anziana, e alcuni sulla sedia a rotelle: questo dettaglio rende le condizioni ancor più drammatiche. 

Le lunghe e infinite attese

Molti arrivano la mattina presto. Ascolto storie di chi parte alle 5 dalla Costiera Amalfitana, dal Cilento, dalle isole campane per mettersi in fila per primi. Ovviamente tutti con l'auto privata, poichè i mezzi pubblici che consentano un trasporto agevole o programmabile non esistono. Ciò costringe il care giver ad usufruire di permessi o ferie a cadenza settimanale: ricordo che la Legge 104 ne prevede solo 3 al mese. L'attesa è lunga, molto lunga. Mia madre in genere impiega dalle 5 alle 6 ore per fare una terapia di circa 90 minuti. I primi tempi trascorrevamo nel reparto 7-8 ore, ma poi con l'esperienza abbiamo affinato gli orari ed oggi siamo scesi sotto le 6 ore: un successo! Altri meno "fortunati" si mettono in fila dalle otto di mattina, magari per fare terapie lunghe che durano alcune ore, e così trascorrono gran parte della giornata lì, per poi riprendere il viaggio di ritorno verso casa. L'attesa è lunga e snervante, specialmente per chi è alle prime armi. Non si riesce a comprendere il motivo per cui si viene convocati alle 8 se poi si entra alle 12 o oltre. Non si potrebbe gestire meglio la composizione della fila e notificare al meglio i tempi, visto che si conosce il numero di postazioni di somministrazione disponibili? Ovviamente anche in questo caso l'esperienza di anni ha affinato la capacità di sopportazione e resistenza. 

I bagni sporchi e rotti

Durante la lunga attesa capita di dover andare in bagno, in fondo è un bisogno fisiologico. Ma ne funziona solo uno per uomini, l'altro è rotto da circa un anno. Per quanto riguarda quelli femminili, ce ne sono solo due e uno per diversamente abili. Le condizioni igieniche dei bagni in un reparto del genere dovrebbero essere indicatore dell'attenzione nei confronti dei pazienti oncologici, eppure sono sporchissimi, manca spesso la carta, e l'addetto alle pulizie arriva solo a fine giornata. Durante la lunga attesa capita di avere sete o fame, ma è meglio organizzarsi portandosi qualcosa da casa poichè le macchinette che distribuiscono bevande e snack sono sparite da inizio anno: l'appalto è scaduto. Dunque, se hai sete, o vai al bar del comprensorio e che dista 1 km, o bevi dal rubinetto del bagno. Anche qui hanno la peggio i novizi, l'esperienza dà di nuovo i suoi frutti.

Scale e ascensore, ma è un disagio per i pazienti sulla sedia a rotelle

Le visite si svolgono al piano di sopra, costringendo ad affrontare le scale o a prendere l'ascensore. Sarebbe stato meglio, soprattutto per gli anziani e per chi è sulla sedia a rotelle, distrubuire tutto su uno stesso piano, ma forse l'architetto o il gestore degli spazi non era stato informato sull'uso che si sarebbe fatto di questo reparto. Ma passiamo avanti.

Il paradosso delle ricette elettroniche

Per effettuare la visita, il paziente oncologico deve portare con sè gli esiti delle analisi settimanali che si possono svolgere in laboratori privati convenzionati, e che consentono di beneficiare dell'esenzione. Dunque, come noto, solo entro la prima metà del mese, poi si paga. Ma anche qui c'è da approfondire: c'è chi sostiene che questi esami debbano farsi nell'ospedale di cura, c'è chi ritiene debbano farsi nei laboratori privati convenzionati capillarmente diffusi sul territorio. La prima strada mi sembra impossibile da percorrere, tenendo conto che per effettuare in ospedale un esame come la PET, devi prenotarla mesi prima. Altro aspetto interessante è quello delle ricette necessarie per fare queste analisi. Il medico di base le prescrive con ricetta elettronica caricata sulla piattaforma regionale e notificata via email al paziente. Ma il paziente, sempre quello anziano, deve stampare la ricetta ricevuta via email e portarla al laboratorio privato poichè quest'ultimo invece di accedere alla piattaforma e scaricarla, la richiede già stampata dal paziente. In questo caso l'approccio è moderno e con alcuni aspetti positivi, ma la sua applicazione è antiquata ed inefficiente, oltre a non essere a norma di Regolamento, tenendo conto che si parla molto spesso di anziani non abituati a maneggiare ricette elettroniche, stampanti e email. Lo stesso Policlinico potrebbe, a mio avviso, scaricare i risultati delle analisi dei suoi pazienti e controllarle in autonomia per pianificare la terapia, accelerando così i tempi. Sì perchè la possibilità di accedere alla terapia nel giorno dell'appuntamento al Policlinico viene confermata dal medico solo dopo aver letto i risultati delle analisi il giorno stesso, rallentando così la "produzione" e messa a disposizione, da parte della farmacia ospedaliera, del farmaco per la terapia. Allungando, dunque, ancora di più l'attesa in sala. Insomma, una catena di montaggio concepita male e che proprio non funziona!

Il momento della terapia

E siamo giunti al momento della terapia. Quando, dopo ore di attesa, si viene finalmente chiamati in sala terapie, si entra in una sala che testimonia risolutamente la scarsità di investimenti nel settore Sanità in città e Regione. Ci sono solo una quindicina di postazioni in cui si alternano le tante persone in attesa, e delle piccole sale con un paio di ulteriori posti, non sempre aperte. Eccolo qui il collo di bottiglia strutturale: fuori diverse decine di pazienti e dentro pochi posti per le terapie, governati da pochi infermieri, pochi medici e pochi specializzandi. A questi ultimi, e solo a loro, va il plauso per il lavoro profuso. Veri eroi quotidiani a prescindere dalle pandemie. Dalla mattina presto fino a fine giornata, mettono in campo i loro sforzi, le loro competenze e la loro umanità, sempre vestiti con un sorriso ed una parola di comprensione per i centinaia di pazienti (soprattutto anziani) che visitano. Segnale questo che l'Ateneo, oltre a garantire qualità di insegnamento e ricerca, forma anche il carattere degli uomini e delle donne che lo frequentano.

Riflessioni finali

Alla fine del viaggio settimanale di ritorno verso casa, dopo 5-6 ore trascorse al reparto di oncologia del Policlinico, mi domando: E' possibile ed accettabile che la terza città d'Italia abbia un reparto di oncologia in queste condizioni? E' giusto far passare queste pene a pazienti anziani che hanno sostenuto il Sistema Sanitario Nazionale con le tasse per tutta la vita? E' così difficile tenere puliti dei bagni ed allestire un punto di ristoro in un reparto in cui le persone attendono per ore ed ore? E' così inaccessibile, nel 2022, una tecnologia che gestisca le prenotazioni, le file d'attesa, lo smistamento di ricette elettroniche e relativi risultati? E' lecito richiedere investimenti strutturali per ampliare reparti che è prevedibile saranno sempre più affollati? E' così difficile per un assessore comunale o regionale, un sindaco, un Presidente della Regione fare un sopralluogo di persona per rendersi conto di questo disastro?.

Un caregiver

L’appello da Ischia di un paziente oncologico: “Non possiamo andare a Napoli ogni volta per curarci”

In Evidenza

Potrebbe interessarti

La giornata di ordinaria frustrazione di un paziente oncologico a Napoli

Today è in caricamento