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Venerdì, 29 Marzo 2024
Vulvodinia

Vulvodinia, quali sono i sintomi e come si cura: risponde il ginecologo

“E’ una malattia spesso sottovalutata dagli stessi ginecologi, che il più delle volte la etichettano come sintomo derivante da conversione isterica o da un profondo disagio psicologico. Eppure la diagnosi risulta abbastanza semplice”. L’intervista al dott. Roberto Bernorio, socio della National Vulvodynia Association

Damiano David, frontman degli ormai famosissimi Måneskin, ce ne ha parlato sul palco di Sanremo attraverso la sua Coraline, brano scritto pensando alla fidanzata Giorgia Soleri, che da anni soffre di endometriosi e di vulvodinia. Quest'utlima è una patologia invalidante che genera dolore cronico nella zona intorno alla vulva, spesso sottovalutata o associata a condizioni di stress perchè ancora poco conosciuta. Per arrivare a una diagnosi occorrono tra i 5 e gli 8 anni, un tempo infinito in cui le pazienti vengono sballottate da un medico all’altro e congedate il più delle volte con cure sbagliate dovute alla mancata diagnosi della malattia. Si stima che in Italia la malattia colpisca tra il 10 e il 15% della popolazione femminile in età fertile.

Nonostante la vulvodinia sia stata riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2020, in Italia non è ancora considerata ufficialmente come un disturbo medico e viene di fatto marginalizzata dal Sistema Sanitario Nazionale. Per questo motivo è stata presentata di recente alla Camera dei deputati una proposta di legge “per il riconoscimento della vulvodinia e della neuropatia del pudendo (altra malattia che colpisce la zona pelvica) come malattie croniche e invalidanti”, chiedendone l’inserimento nei Livelli essenziali di assistenza (Lea). L’approvazione di questa proposta di legge, scritta dal comitato promotore e organizzatore che raccoglie sei delle associazioni che in Italia si occupano di queste due sindromi, comporterebbe l'esenzione dalla spesa sanitaria per le visite e le terapie, il riconoscimento di invalidità, il monitoraggio dei casi e la nascita di centri pubblici per curare le pazienti su tutto il territorio nazionale: un enorme traguardo.

Tra i principali esperti in Italia sulla vulvodinia c’è il dott. Roberto Bernorio, ginecologo, psicoterapeuta e sessuologo clinico, socio della National Vulvodynia Association e segretario dell’Associazione Italiana Sessuologia Psicologia Applicata (AISPA). Lo abbiamo intervistato per chiedergli quali sono i sintomi della vulvodinia, perchè è così difficile avere una diagnosi e come viene trattata.

Dott. Bernorio, cos’è la vulvodinia e con quali sintomi si manifesta?

“La vulvodinia viene definita dalla Società Internazionale per lo Studio delle Patologie Vulvari (ISSVD) come un fastidio vulvare, più spesso descritto come bruciore urente in assenza di rilevanti patologie infettive, infiammatorie, neoplastiche o neurologiche che dura da più di tre mesi. Di fatto si manifesta come un dolore percepito dalla donna ai genitali esterni che non risulta associato a patologie mediche che giustifichino il dolore stesso”.

Come viene diagnosticata la vulvodinia e perché è così difficile la diagnosi?

“Questa patologia è spesso misconosciuta e sottovalutata dagli specialisti di riferimento, in primis i ginecologi, che il più delle volte la etichettano come sintomo derivante da conversione isterica o da profondo disagio psicologico. Eppure la diagnosi risulta essere abbastanza semplice. Lo strumento utile è rappresentato da un cotton fiocc con cui toccare in senso circolare le aree dolenti alla pressione della mucosa vestibolare. Spesso il dolore è localizzato alle ore 5 e 7 in un ipotetico orologio il cui centro è l’orifizio vaginale. La vulvodinia può interessare, oltre al vestibolo, anche il clitoride e più raramente le grandi labbra. Attraverso un corretto esame obbiettivo è possibile quindi distinguere le forme localizzate da quelle generalizzate”.

Esistono diversi tipi di vulvodinia?

“Un’altra distinzione diagnostica fondamentale della vulvodinia è la distinzione delle tre tipologie: provocata, spontanea e mista. E’ provocata solo se c’è uno stimolo meccanico che evoca il dolore, quindi le donne sentiranno male se un pene sta per entrare, se un dito sollecita le aree di iperestesia o ad esempio se indossano jeans stretti. Cioè se c’è qualcosa che tocca. L’unico modo per evitare il dolore è evitare rapporti o contatti sessuali o indumenti stretti. Nelle forme spontanee il dolore si presenta in assenza di stimoli meccanici. Per capire se la vulvodinia è spontanea o meno è sufficiente chiedere alla donna se il dolore compare in qualunque momento della giornata allo stato di riposo in assenza di alcun stimolo in regione vulvare. Nelle forme miste sono ovviamente presenti entrambe le condizioni”.

Tra i disturbi associati alla vulvodinia c’è anche la mialgia del pavimento pelvico. Di che si tratta?

“Spesso a causa del dolore la muscolatura del pavimento pelvico può entrare in uno stato ci contrazione difensiva prolungata; come conseguenza si vengono a creare un irrigidimento di tale muscolatura (ipertono) e la formazione di punti estremamente dolenti alla palpazione (trigger points)”.

Quali sono le cause?

"Non sappiamo con esattezza quali siano le cause di questo problema. Esistono una predisposizione genetica e dei fattori che possono con essa interagire quali ad esempio infezioni micotiche ripetute, assunzione di pillole contraccettive a bassissimo contenuto di estrogeni o traumi locali”.

Come mai questa patologia non è stata ancora riconosciuta come una malattia cronica e invalidante, e inserita nei Livelli essenziali di assistenza (LEA)?

“La vulvodinia pur essendo diffusa è poco conosciuta e al pari di altre malattie croniche come la fibromialgia risulta ‘invisibile’ al sistema sanitario nazionale. Qualcosa però si sta muovendo in senso positivo e proprio pochi giorni fa nel Lazio è stata presentata una mozione per inserirla nei Livelli essenziali di assistenza. Un primo passo importante”.

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Come viene trattata la vulvodinia? Quali sono le opzioni terapeutiche?

“Le componenti da valutare nel trattamento in sintesi sono tre: l’alterata sensibilità della mucosa vulvare, la mialgia e l’ipertono dei muscoli del pavimento pelvico e la sfera psico-sessuologica. Essendo la vulvodinia un disturbo da dolore sessuale di natura somatica che si ripercuote sulla psiche è necessario un approccio multidisciplinare per il trattamento. Il team ideale dovrebbe essere composto da una figura esperta nell’area medica, una figura esperta nel pavimento pelvico ed una nell’area psicosessuologica, di modo da poter intervenire non solo sul dolore ma anche sull’impatto psicologico che tale dolore ha sulla donna e sulla coppia. Tra le opzioni di cura ci possono essere anestetici locali o farmaci antidepressivi e antiepilettici. Nel caso di disfunzioni del pavimento pelvico è consigliabile una riabilitazione per intervenire sull’ipertono muscolare. Altre terapie da considerare nel trattamento della vulvodinia sono l’agopuntura, la TENS (stimolazione elettrica nervosa transcutanea) e l’ipnosi. Sono in fase di sperimentazione nuove tecniche strumentali quali il laser, la radiofrequenza e l’elettroporazione”.

Questi trattamenti posso essere combinati con alcuni piccoli accorgimenti che riguardano la cura del sé, e che possono alleviare i disturbi della vulvodinia. Può stilarci un elenco di questi accorgimenti che la paziente dovrebbe avere?

“Ci sono in effetti alcuni accorgimenti che riguardano lo stile di vita e le norme igieniche a cui la donna può prestare attenzione nella propria quotidianità per ridurre l’irritazione vulvare:

  • utilizzare biancheria intima di cotone;
  • non indossare pantaloni attillati, collant e body che aumentano la pressione e l’attrito;
  • evitare sport come biciletta, spinning e cyclette;
  • lavarsi con detergenti specifici per l’igiene intima e non utilizzarli più di due volte al giorno”.Roberto Bernorio-2
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