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Giovedì, 8 Giugno 2023
Asso di denari

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A cura di Carlo Sala

Gli ostacoli sulla via dell’Italia per strappare business a Londra dopo la Brexit

L’outsourcing che la Brexit sembra attivare e la ricollocazione di attività da Londra all’interno della Ue sono un’occasione cui tutti i Paesi guardano con attenzione, ma le ambizioni dell’Italia, soprattutto con Milano, in tal senso, devono fare i conti con un fisco ed una burocrazia che sono una vera zavorra nella corsa ad accaparrarsi chi lascia il Regno Unito.

Il total tax rate per le imprese è al 64,8%, il più alto della Ue, secondo una rilevazione Ufficio studi di Confartigianato. La somma di tutte le imposte e le tasse pagate al lordo dei profitti in Italia è  più che doppio rispetto a quello di Slovenia (31,0%) e Svizzera (28,8%) ed è più alta anche di quella di Francia (62,7%) ed Austria (51,7%), che sono al secondo e terzo posto in questa graduatoria in Europa.

Ogni italiano paga 461 euro in più di tasse rispetto alla media dell’Eurozona, per un totale di 28 miliardi, e le piccole imprese con meno di 20 addetti pagano un’aliquota fiscale complessiva su Ires ed Irap del 32,8%, superiore di 5,2 punti rispetto al 27,6% delle imprese di medio-grande dimensione, con 50 addetti ed oltre.

L’Italia è al 45° posto tra i 189 Paesi del mondo della graduatoria Doing business, che misura la facilità di fare impresa in un Paese.

Dal 2011 al 2015 le imposte dirette e indirette sono  aumentate del 6%, trainate dall’incremento del 27,2% (+14,8 miliardi di euro) dei principali tributi locali: Irap, addizionali Irpef, Imu e Tasi. Sulla competitività delle imprese pesa il cuneo fiscale sul costo del lavoro dipendente, pari al 49%, di 13,1 punti superiore al 35,9% della media Ocse ed il quinto più alto dopo Belgio, Austria, Germania ed Ungheria.

Ogni impresa spreca in adempimenti fiscali 269 ore all’anno, 92 ore in più delle 177 ore della media Ocse e superiori alle 218 ore in Germania, alle 158 ore in Spagna, alle 137 ore in Francia e alle 110 ore nel Regno Unito.
 

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