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Venerdì, 19 Aprile 2024
Asso di denari

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A cura di Carlo Sala

Nei paradisi fiscali il 10% della ricchezza mondiale: oltre 220 miliardi appartengono a italiani

Quando si sapranno tutti i nomi dell’ennesima lista di persone con averi nei cosiddetti Paesi fiscali si capirà meglio quali sono i Paesi che mostrano meno rispetto verso la fatica con cui i propri cittadini si guadagnano da vivere. Intanto già dal 2016, la Banca dei regolamenti internazionali ha reso disponibili i dati che consentono di incrociare le cifre nelle banche offshore con la loro provenienza.

Nei paradisi fiscali è depositata una somma pari al 10% del Pil mondiale: analizzando i dati della Bri, 3 ricercatori dell’università di Amsterdam hanno appurato che i depositi provengono soprattutto da Israele, Russia, Kenya e dai Paesi arabi. Ognuno di questi Paesi detiene in banche off-shore l’equivalente al 40-60% del proprio Pil nazionali. Anche gli europei devono mettere in salvo i propri averi dal fisco del proprio Paese, ben più degli americani.

Gli italiani tengono offshore oltre 220 miliardi, l’equivalente del 14% del Pil della penisola. I francesi e i tedeschi in patria sono ancora più a rischio, visto che hanno depositato all'estero somme equivalenti rispettivamente al 15,4% e al 16% del Pil dei loro Paesi. Secondo i ricercatori, le 2.000 famiglie più ricche di Francia, le 2.000 più ricche di Inghilterra e le 1.500 più ricche di Spagna (lo studio non riferisce dell'Italia, difficile però che i dati siano diversi) tengono all'estero il 30-40% della loro ricchezza. Lo 0,1% dei francesi più ricchi detiene non l’8,2% della ricchezza nazionale, come dichiarato al fisco, ma il 10,7%.

Adesso che Trump ha aperto il cantiere della riforma fiscale Usa, a Londra riesumeranno la minaccia di fare dell'Inghilterra un gigantesco paradiso fiscale, con tassi stracciati sui profitti, alle porte della Ue? Improbabile, visto che Londra sembra aver ormai fatto la scelta di una Brexit morbida. Ma, soprattutto, superflua: la Gran Bretagna è già un gigantesco aspiratore di soldi clandestini. Non stanziali, in verità, ma in transito. Nel senso che il governo della Regina consente al sistema finanziario britannico di funzionare da condotta per il trasferimento nei paradisi fiscali veri e propri di una larga fetta dei capitali offshore. Secondo una ricerca dell'Università di Amsterdam, il 14 per cento di tutti i capitali destinati a scomparire in qualche società di comodo dei Caraibi viene rilanciato attraverso l'Atlantico da banche e finanziarie inglesi. C'è chi fa di più: l'Olanda, patria del “double dutch sandwich” che ha fatto le fortune fiscali di Apple e Google, è la tappa preferita dal 23 per cento dei capitali in cerca di nascondigli sicuri. La tanto chiacchierata Svizzera è indietro.

Da dove vengono questi soldi, disinvoltamente gestiti da paesi a cui molto piace fare prediche agli altri?

Solo i depositi bancari, non gli investimenti in titoli o in immobili. Ma anche i soli depositi sono una montagna: il 10 per cento del Pil mondiale. In pratica, per ogni dollaro di produzione nel mondo, uno finisce nascosto offshore. Secondo uno studio di Annette Alstadsaeter, Niels Johannesen, Gabriel Zucman sui dati Bri,.

Lo smottamento avvenuto nella piramide sociale è evidente. Negli anni '80, anche con i conti offshore, le duemila famiglie di straricchi detenevano ufficialmente meno del 2 per cento della ricchezza nazionale, ma arrivavano, con i quattrini imboscati all'estero, ancora sotto il 3 per cento. Oggi sono al 4,8 per cento. Neanche negli anni '50, prima delle grande ascesa delle classi medie, oggi in via di scomparsa, arrivavano a queste cifre.

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