In Italia ci sono oltre 474.000 persone che percepiscono la pensione almeno dal 1980. I pensionati da almeno 36 anni hanno iniziato a percepire l’assegno a 54,9 anni (41,3 anni nel caso di superstiti a cui sia stato girato il vitalizio di un parente stretto). Si tratta di pensioni sia di vecchiaia che di anzianità e di pensioni di superstiti a parenti che lavoravano nel settore privato, mentre non rientrano in questa analisi né gli assegni di invalidità previdenziale, né quelli agli invalidi civili, né le pensioni sociali, né infine i trattamenti degli ex dipendenti pubblici. Per le pensioni di vecchiaia l'età media alla decorrenza era di 54,9 anni mentre per quella ai superstiti l'età media era di 41,3 anni.

Nel 2014 c’erano 16,3 milioni di persone in pensione da più di un anno e tra di loro sono solo 800mila le persone che hanno iniziato a percepire una pensione di vecchiaia prima del 1986, che cioè avevano raggiunto già prima di quella data l’età massima a cui si può lavorare. I superstiti percettori di pensione di un parente stretto deceduto prima del 1986 sono 527mila.

I pensionati di lunga data hanno trattamenti migliori ma oggi sono ‘a rischio’, perché il governo potrebbe introdurre misure per parificare il regime meno generoso che chi è andato in pensione più di recente si è visto applicare rispetto a chi è andato in pensione prima. 

Il problema è stato sollevato dallo stesso presidente dell’Inps, Tito Boeri, anche se sia il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Tommaso Nannicini, che il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, hanno escluso che si stiano studiando contribuiti di solidarietà da porre a carico dei pensionati più ‘ricchi’ a favore degli altri («Il contributo di solidarietà oggi sulle pensioni alte c'è già, è a scadenza, dovrà essere valutato se confermarlo in quella maniera o diversamente» ha detto Poletti.