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Giovedì, 25 Aprile 2024
Capitale sociale

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A cura di Giuseppe De Marzo

Ma al posto del Jobs Act non sarebbe stato meglio il reddito minimo?

Si chiama decreto legge 34  o meglio "Disposizioni urgenti per il rilancio dell'occupazione". Ma lo conosciamo come Jobs Act. Una delle prime proposte del governo Renzi che in questi giorni cercherà di ottenere la fiducia alla Camera. Firmatari del provvedimento Giorgio Napolitano, Matteo Renzi e Giuliano Poletti, ministro del lavoro.

Una riforma del mercato del lavoro che dovrebbe, come detto dal premier, essere la #svoltabuona. In effetti a marzo Renzi aveva promesso ammortizzatori sociali, salario minimo, assegno universale di disoccupazione e facilità di assunzioni per gli imprenditori.

L'ultimo passaggio per rendere operativo il decreto è la sua conversione in legge da parte del Parlamento, che dovrebbe avvenire intorno al 20 maggio. Prima di questa scadenza, alcune realtà hanno deciso di organizzarsi per portare in Commissione Europea una denuncia nei confronti dell'Italia proprio su questo provvedimento.

Il Jobs Act sembra essere in contraddizione con quanto sancito da alcune sentenze della Corte di Giustizia e con la direttiva 1999/70 del consiglio dell'Unione europea. Secondo tale normativa gli stati membri devono limitare la temporaneità dei contratti, favorendo il tempo indeterminato.

Sono sindacati di base e comitati di precari che stanno portando avanti l'azione legale con il supporto dell'associazione Giuristi Democratici, che ha annunciato sul proprio sito che  a breve sarà avviata la "procedura di infrazione nei confronti dello Stato italiano per la clamorosa e frontale violazione del diritto comunitario".

In ogni caso il provvedimento non sembra venire incontro alla vera emergenza sociale del nostro Paese: l'aumento della povertà, causato dall'assenza di lavoro, o dalla sua precarietà, e dai tagli alle politiche sociali che colpiscono due volte le vittime della crisi. Senza ammortizzatori sociali anche se gli imprenditori avranno più facilità ad assumere la conseguenza sarà quella di far crescere la percentuale dei nostri "working poors". Questa nuova "categoria" dell'economia è la dimostrazione lampante del fallimento delle politiche del lavoro subordinate alla politica di austerity e del rigore finanziario imposto da Bruxelles.

Il salario da lavoro avrebbe dovuto garantire l'accesso a beni e servizi, evitando il precipizio della povertà, invece da qualche anno a questa parte non è più così. L'Italia è già oggi il paese con il più alto numero di working poors: 3,2 milioni in totale, il 12% dei 21 milioni di lavoratori e lavoratrici complessivi. Non basta più avere un lavoro per uscire dalla povertà se non si aggancia il salario ad uno standard retributivo europeo e non si investe sugli ammortizzatori sociali. Questo decreto rischia dunque di aumentare la precarietà, invece di combatterla così come annunciato.

Vista l'emergenza fotografata dai gravissimi dati sulla povertà e sulla disoccupazione, la proposta che viene ormai da più parti è quella del reddito minimo per una vita dignitosa. Una soluzione di grande buon senso arriva dall'European Antipoverty Network- EAPN, che mette insieme reti, associazioni e studiosi di 31 paesi europei, che propone di concedere un reddito minimo a chi non trova lavoro e non appartiene a fasce di reddito alte sulla base del 60% del reddito mediano del paese. Il reddito minimo, vale la pena ricordarlo, è tra l'altro una misura già adottata da tutti i paesi dell'Unione tranne che da Grecia, Ungheria ed Italia.

Risolveremmo immediatamente problemi gravi di milioni di italiani che meritano risposte concrete e coraggiose e finiremmo per constatare come questa sia la strada migliore e più conveniente anche per i conti pubblici, come è stato dimostrato dalla sperimentazione adottata nella provincia autonoma di Trento con ottimi risultati. Per questo lo abbiamo inserito come punto 8 della campagna Miseria Ladra: la vera #svoltabuona e il vero vento di cambiamento sarà quello che riconsegnerà alle persone la dignità. Solo puntando a questo si potrà davvero uscire dalla crisi, trasformandola in un'opportunità capace di rilanciare anche il mondo del lavoro.

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