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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronache marziane

Cronache marziane

A cura di Rossella Lamina

Sotto la quercia di Manildo

È impressionante l’impatto visivo di una quercia di 300 anni alta 21 metri, come un palazzo di 6 piani circa. Quella di Manildo ha una chioma che copre un’area di 500 metri quadri e ci vogliono almeno tre persone per abbracciarne la circonferenza.

Ma i numeri non riescono a rendere un altro impatto, quello sensoriale ed emotivo che si riceve stando accanto ad un simile monumento naturale, protetti dai suoi rami e le sue foglie, che filtrano i raggi di un dorato pomeriggio autunnale.

La quercia in questione è un cerro ( Quercus cerris ), che è riuscito ad esprimere la sua longevità naturale anche grazie alla tenacia di un uomo dalle idee molto chiare, Manildo Lombardelli, agricoltore e protettore di alberi.

Nella foto realizzata da Manildo e Claudio Speroni, si vede il cerro durante il freddo inverno 2012, che troppi ne ha stroncati di alberi, sia giovani che anziani. Ma lui no: il cerro è rimasto al suo posto, in una speciale simbiosi con la famiglia Lombardelli.

Quando nel 1968 Manildo e la sua famiglia si stabilirono nel podere in Località La Casina, nel territorio del Comune di Acquapendente (VT), trovarono già lì, in tutta la sua imponenza, il cerro centenario. Ne sarebbe venuta tanta di legna da quell’albero, buona a sfamare stufe e camini. Insieme alla longevità, il cerro ha infatti la caratteristica - per lui nefasta - di bruciare bene. Per questo è uno degli alberi più usati nel bosco da taglio, dove spesso lo incontriamo come uno stecco dritto e lungo, su terreni da cui affiorano i monconi degli altri suoi simili mozzati.

Vedere un cerro raggiungere le dimensioni di quello di Manildo, dunque, non è affatto scontato: la deforestazione, antica e recente, l’agricoltura intensiva, e soprattutto appetiti predatori e politiche del paesaggio inesistenti, hanno fatto sì che gli alberi monumentali siano presenze rare. Ancora ho negli occhi lo scritto bellissimo e furioso di Ippolito Pizzetti - forse l’ultimo dei grandi architetti paesaggisti italiani - che nel 1986 si scagliava contro la distruzione in Puglia di ulivi centenari, dovuta al combinato effetto deleterio di incentivi all’agricoltura dell’allora CEE e dell’inerzia delle autorità locali.

Manildo, che produce grano e patate (e senza usar veleni), per non ferire il tronco del suo cerro si è opposto anche al “carotaggio” che ne avrebbe stabilito l’età esatta (“Ma che importa sapere se di anni ne ha 299 o 305”, dice giustamente lui). Nel tempo è riuscito a proteggere tanti altri alberi, sia in alcuni appezzamenti di cui è proprietario, sia in zone limitrofe. 

Sotto al cerro secolare c’è la scritta: “Questo albero è protetto da Manildo Lombardelli dal 1968; vuole che qualcuno insieme a lui continui a farlo!”. Il Comune di Acquapendente, che ha nel suo territorio la bellissima Riserva naturale di Monte Rufeno ed il Museo del Fiore (e che fra l’altro è ai primi posti per la raccolta differenziata nel Lazio), ha saputo raccogliere l’invito, portando le scolaresche sotto al cerro a condividere l’impegno alla futura tutela di quell’albero ed a piantarne di nuovi, come tanti novelli “Giovanni Semedimela”.

Dal 2010 l’assessorato all’Ambiente dello stesso comune organizza delle escursioni che, partendo dalla Torre Julia de’ Jacopo costeggiano il torrente Quintaluna, attraversano campi seminati e boschetti, fino a raggiungere il podere della famiglia Lombardelli. La manutenzione del sentiero è curata da Manildo, Toraldo, ed altri vicini e confinanti.

Lì, sotto al cerro di Manildo, ci siamo ritrovati - fra amici e sconosciuti divenuti amici - a dividere vino, patate fritte e dolci deliziosi preparati dalla famiglia Lombardelli. Tutti insieme a farci beffe del cibo surgelato e della vita, che a noi umani non dà trecento anni, ma alcuni splendidi pomeriggi di inizio autunno…

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