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Venerdì, 29 Marzo 2024
Finestra sul mondo

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A cura di Gianmarco Volpe

Trump-Kim: dopo Singapore, almeno, staremo un po’ in pace su Twitter

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il nordcoreano Kim Jong-un si sono stretti la mano per la prima volta a Singapore, scrivendo un nuovo importante capitolo della crisi che più d’ogni altra ha impegnato l’amministrazione statunitense nel suo primo anno (per lo meno su Twitter).

Due leader impulsivi ma caratterialmente agli antipodi – da guardare e riguardare, a proposito, il volto interdetto di Kim quando, durante il consueto “giro di tavolo” prima della riunione, Trump chiede ai fotografi di essere ritratto “bello, magro e perfetto” – che guidano rispettivamente la più grande potenza nucleare al mondo e la più minacciosa. E che, adesso, sembrano aver messo da parte i messaggi guerrafondai degli ultimi mesi per avviare un percorso di normalizzazione che porti alla denuclearizzazione della penisola coreana, uno degli angoli a più alta tensione nel mondo.

Perché il vertice tra Tramp e Kim è così importante

Per essere chiari: l’incontro di Singapore può in effetti segnare una svolta storica. Gli Stati Uniti hanno promesso alla Corea del Nord d’interrompere le manovre militari congiunte con la Corea del Sud nel Pacifico, a patto però che Pyongyang inizi “molto, molto, molto velocemente” a smantellare il proprio arsenale atomico. Le sanzioni economiche resteranno in vigore, ha chiarito Trump, in attesa di nuovi atti di distensione da parte dei nordcoreani. A Singapore è stata anche siglata una dichiarazione congiunta che impegna gli Usa a fornire “garanzie di sicurezza” alla Corea del Nord e quest’ultima a lavorare in maniera “risoluta” per la “completa denuclearizzazione della penisola”.

In conferenza stampa, Trump ha aggiunto che Kim ha promesso pure la distruzione di un sito per i test missilistici. Ma è lo stesso incontro, di per sé, a costituire un nuovo segnale di apertura della leadership di Pyongyang dopo la visita a sorpresa di Kim Jong-un in Cina dello scorso marzo.

Che cosa cambia dopo il vertice di Singapore

Veniamo ai però: sono parecchi. La dichiarazione firmata a Singapore, simile ad altre già sottoscritte in passato dalla Corea del Nord e presto finite nel dimenticatoio, è vaga e non prevede una tabella di marcia – tantomeno misure di verifica – per l’effettiva dismissione dell’apparato nucleare del regime asiatico. Si tratta di un aspetto tutt’altro che irrilevante: per il momento, sull’accordo continuerà a gravare il lecito sospetto che Pyongyang stia solo cercando di prender tempo. È un bene, dunque, che per il momento Trump non abbia aperto alla rimozione delle sanzioni economiche, che colpiscono il 90 per cento delle esportazioni nordcoreane, punto sul quale preme la Cina.

Ancora, dall’equazione di Singapore resta fuori un attore chiave come la Corea del Sud, i cui vertici militari non avranno certo apprezzato lo stop statunitense alle manovre congiunte. Eventuali nuove provocazioni lungo il trentottesimo parallelo, che divide le due Coree, rischiano di riportare la situazione al punto di partenza in un battibaleno: per questo occorre al più presto estendere i contatti diretti in corso con Kim Jong-un anche a Pechino e Seul.

Infine, la maggiore delle incognite è insita nella natura del regime nordcoreano. Finora, la sensazione di assedio e il perenne stato di guerra sono stati fattori essenziali per tenere in piedi un assetto statale chiuso e fortemente repressivo. Kim Jong-un, salito al potere nel 2011, ha giocato parecchio sulla minaccia di un conflitto nucleare per proteggere e amplificare la propria autorità. La pace porterebbe certamente dei benefici economici (in particolare dopo l’eventuale rimozione delle sanzioni), ma anche degli enormi costi politici per il regime. In attesa di capire se si arriverà a questo punto, possiamo almeno consolarci col pensiero che, per un po’, potremo navigare su Twitter senza il pericolo d’incorrere in minacce di una guerra nucleare mondiale: una delle novità della presidenza Trump di cui avremmo fatto volentieri a meno.

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