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Giovedì, 5 Ottobre 2023
Lo sfasciacarrozze

Lo sfasciacarrozze

A cura di Diego Giorgi

Un oceano di silenzio

Ospedale di Siena, reparto oncologia. Pochi passi nei corridoi e le mie narici sono invase dalla puzza di piscio. E' colpa mia. C’è solo nella mia testa, ma basta e avanza. Cateteri, lenzuola sterilizzate, candeggina, disinfettanti, monitor, beep, flebo appese, pianti, ricordi, cellulari che squillano, che parlano, fasciature, garze, sondini, camici bianchi, blu, verdi, i lamenti soffocati dal dolore di chi è appena tornato in stanza dopo la scommessa della sala operatoria. Per qualcuno, la morte.

Il mio sguardo si sposta frenetico come chi attraversa per la prima volta la sua prigione. Sinfonia stonata dei sensi, la paura; decine di input, veloci come schegge impazzite, sovrastano le terminazioni nervose. Frecce anestetizzanti che avviano l’effetto centrifuga: tre passi e quella massa di vita prende l’odore del piscio.

In una delle tante stanze della corsia una donna è seduta accanto al letto dove riposa sua marito. Gli legge un libro e si tengono per mano. Poi lo chiude, lui lascia la presa e gli appoggia la solita mano su una guancia. La signora ci si appoggia come un bambino su la spalla della mamma, come chi, appeso nello strapiombo, si regge sull’unica presa: “Ti ricordi quel viale alberato e quelle chiome scosse dal vento come capelli riccioli, ci eravamo appena conosciuti”.

Mentre ascolto, spettatore non pagante di vita altrui, il naso si libera dell’urina e vedo ‘cieli altissimi e paesaggi slontanati’. Mi viene alla mente Franco Battiato e mi chiedo se l’Oceano di silenzio sia una richiesta di quiete oppure l’impossibilità del racconto, il suono di quel che diciamo all’invisibile e ci dice il sensibile.

La seconda, vista da lì.

Perché la politica non suona uno strumento di questa orchestra? E un centimetro dopo: è davvero tenuta a farlo? Dipende, mi dico. Se si tratta della Polis, che tutto contiene e tutto partorisce, allora sì. Se invece riguarda il mondo totalmente amministrato, tecnocratico, allora vattene via da questo Oceano. Non farmi perdere tempo; Inutile, Sciocco Burlone, non provare a prenderti un secondo della mia vita. Non la vali.

Qualcuno dirà: ‘verginella', la politica non può essere quella poesia, non può essere arte, non c’è spazio per i fiori (già me lo vedo un Giuliano Ferrara pronto ad imbracciare il fucile e premere il grilletto della Realpolitik); e via con la retorica sul pragmatismo, del leader che deve conoscere l’arte del compromesso, del fine magari con l'ascia in mano.

Chiedo venia, mi scuso per l'ingenuità e tuttavia pretendo una risposta: ma se l’arte fa della vita la propria musa, perché la politica, che si fa vita ogni giorno (nella crisi economica, nelle guerre, nella partita sull’energia, nel clima, nella geografia, nella storia, nelle tasse, nelle regole, nel rosso che ferma e nel verde che da il via, nelle code alle poste, nei trasporti, a scuola, sui giornali, in chiesa, sui passaporti), non può provare a non tradire la poesia. Perché non può trovare ristoro in quella carezza. Ecco l’utopia più grande di tutte. Il futuro vero sta nei fiori d’asfalto (economia compresa).

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