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Venerdì, 29 Marzo 2024
Lo sfasciacarrozze

Lo sfasciacarrozze

A cura di Diego Giorgi

Renzi, Steve Jobs, la "follia" e la sindrome di Ashton Kutcher

“Siate affamati. Siate folli”. Lo disse Steve Jobs. Che prima di morire lottando e perdendo contro il cancro ha fondato l’Apple. Uno che nella sua “follia” ha cambiato il modo di comunicare, quindi di pensare. Quindi di ragionare. Jobs è un tempio della modernità. E’ di diritto uno dei massimi esponenti della mitologia a 140 caratteri. Anzi, a vederla bene, è l’incarnazione del Mito del secolo che ha inaugurato la corsa al 3000 (dopo Cristo). I greci, prima di tutti, nel tragico, nel dionisiaco, nell’apollineo, nella verità e nella menzogna, nella polis, compresero bene la forza dell’Olimpo.

Ora, intendiamoci: non ho mai avuto un Mac, e più in generale non sono mai stato persuaso da questo 'fascinamento' (concedetemi il gergale). Avrei preferito vivere sotto il sole di Camus – in quell’estate invincibile – nella dialettica critica di Adorno e Horkheimer, dentro la Fender di David Gilmour. Lungo le traiettorie di una “follia” ‘altra’. E con i nomi mi fermo qui, l’elenco sarebbe davvero troppo lungo. E tuttavia sono un uomo di questo mondo, che cammina dentro una realtà che esiste e non esiste, nella finzione vera della cyber-filosofia. E con questo mondo, e con le stelle di questo cielo, mi tocca fare i conti.

Il pacchetto è completo, che piaccia o non piaccia. E non manca la “follia”. Quella che Jobs amava raccontare così: “A tutti coloro che non amano le regole, a coloro che non rispettano lo status quo, potete citarli, essere in disaccordo con loro, glorificarli o denigrarli, ma l'unica cosa che non potete mai fare è ignorarli. Perché loro cambieranno le cose, fanno progredire l’umanità. E mentre qualcuno potrebbe definirli folli, noi ne vediamo la genialità. Perché coloro che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo, lo cambieranno davvero”.

E quella che oggi il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, candidato e prossimo alla segreteria del Pd, ha ripreso così mentre parlava di università e ricerca: “L’aridità sembra segnare la discussione politica, sociale, anche in alcuni casi culturale”. Come? “Con un minimo di emozione, passione. Mi viene in mente una parola: pathos”. Da qui, tre declinazioni di pathos. Il primo: “L’elemento della pazienza e chi sta dentro l’università italiana oggi sa che di pazienza ce n’è bisogno tanto, troppo forse”. Il secondo: “L’elemento della sana follia, perché pathos richiama comunque la pazzia: pensare che al giorno d’oggi si esca dalla crisi investendo su educazione, cultura, ricerca ed università può sembrare un elemento di pazzia, ma a mio giudizio è l’unica strada per uscire dalla fase di difficoltà che viviamo”. Terzo: “L’espressione pathos richiama naturalmente l’idea di passione”. Da una parte la “follia” di Jobs. Dall’altra il pathos folle di Renzi, che nel tempio dell’Apple è di casa.

Eppure qualcosa non torna. Leggendo la versione di Jobs – che è buona e facilona, che in certo senso mi impaurisce perché si fa un aforisma comodo di intere generazioni (come chi si mette la maschera di ‘V per Vendetta’ e si fa volto di una protesta indotta, tradendone la simbologia) –, la mia mente ha corso veloce in Piazza Tienanmen. Quel ragazzo, solo, che fermò i carri armati, e con lui chi riprese il suo no, fermò il mondo. E per un minuto lo cambiarono.

Quando invece ho ascoltato le parole di Renzi, pur vere e perfettamente aderenti al suo linguaggio, quello di sempre, ho pensato a Ashton Kutcher e alla sua interpretazione di Steve Jobs nel film ‘Jobs’, appunto. Il belloccio di turno, troppo bello per riverberare quel Mito. Quel giochino furbo dell’industria cinematografica di Hollywood che a volte indulge sull’immagine accattivante dell’Eros – per questioni di mercato, di botteghino (dicesi ‘industria culturale’) – che appanna il senso. Quell’apparire che fa calare la nebbia sul Dire. Ecco il peccato di Renzi: parlare della “follia” di Jobs ma ricordandoci lo sguardo di Kutcher. Quella “follia” ha bisogno di autenticità. Ormai caro ‘Matteo’, ora che sei ad un millimetro dal prenderti la sinistra, devi imparare a stupire. I film o si fanno o si interpretano.

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