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Venerdì, 29 Marzo 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

L'ambientalismo urbano e le sue attaccabili argomentazioni

Leggo nelle pagine culturali di un grande quotidiano un articolo dedicato al cambiamento climatico e alle possibili politiche orientate a contrastarlo. Un articolo ricchissimo di dati e riferimenti scientifici che in uno dei primi passaggi sulle azioni possibili recita: «Oggi i combustibili fossili producono l'80 per cento della nostra energia e oltre 35 miliardi di tonnellate di CO2 ogni anno. Il resto, circa 5,5 miliardi di tonnellate, è dovuto al consumo di suolo». Dove la dizione consumo di suolo emerge in tutto il suo senso autentico e per così dire oggettivo a connotare il vero problema ambientale-climatico del contenimento, ovvero la produzione di tutta quella massa di anidride carbonica, e che deriva dalla trasformazione del suolo in altro, non adatto a svolgere il ruolo complesso ecologico delle superfici agricolo-naturali. E che non pare proprio, questo carattere del consumo di suolo, alla base dell'idea che se ne sono fatte centinaia di comitati locali e tematici di tipo urbano da quando il termine è entrato nel lessico alcuni lustri or sono, confondendosi quasi immediatamente con altri rispettabilissime tematiche però parecchio diverse e nello specifico urbano-culturali-conservazioniste. Fino a diventare una specie di marchio di garanzia ecologico artificiosamente sovrapposto ad altro, più o meno come accaduto a «sostenibilità» oppure «verde» e via dicendo.

Sventolano i vessilli «contro il consumo di suolo» su battaglie associazioni liste politiche che in realtà si oppongono pur legittimamente a centralissime trasformazioni urbane su un «suolo» che prima durante e dopo non ha né può avere alcun valore negli equilibri ambientali e climatici tratteggiati sopra, e che si riferiscono ad ambienti assai più ampi, a reti territoriali vaste, a contesti di biodiversità complessi, ben oltre il patchwork di parcheggi (sotterranei ricoperti da una crosta di terriccio o di superficie asfaltati) strade edifici e verde segregato artificializzato. Progetti forse sbagliati, inadeguati alla domanda reale e dettati solo da tornaconti finanziari a dir poco singolari, come quelli degli «spazi di lavoro» dove lavoro non ce n'è affatto, ma che al massimo aumentano localmente un pochino la superficie impermeabilizzata, gettano ombre sgradevoli sul vicinato, sovraccaricano urbanisticamente anche se spesso solo in forma teorica potenziale. Ma che non «consumano suolo», a meno di immaginarsi fantasiosamente il processo come mosaico sommatoria aritmetica delle cosiddette odiate «cementificazioni del territorio», quando in realtà si tratta solo di brutti contestabili progetti di trasformazione urbana, assai più raramente suburbana dove al tempo stesso avrebbero molto più impatto ma minore visibilità le contestazioni.

Colpiva non molto tempo fa vedere i giovani dei Fridays for Future, movimento internazionale sulle questioni climatiche, mettere al centro delle proprie piccole grandi battaglie di quartiere per la difesa di giardini pubblici o addirittura singoli alberi proprio il consumo di suolo, a volte pomposamente sottoposto anche a singolari coefficienti di moltiplicazione volti a «dimostrare scientificamente» quanto anche quel metro quadrato di cespugli lungo la striscia del marciapiede di casa desse il suo contributo alla regolazione del clima. Vero forse in lontanissima linea di principio, facilissimamente contestabile da chiunque interessato a quelle stesse trasformazioni sa molto bene gestire i temi della partecipazione pilotata, delle compensazioni ambientali, degli stessi standard urbanistici di legge. Perché l'uso politico del concetto richiede capacità politica, ovvero uso in buona o malafede delle conoscenze tecnico-scientifiche, così come con l'ultimamente sbandieratissima gentrification, unita o meno alle economie turistiche e alle piattaforme elettroniche per l'affitto breve. E tanti movimenti e associazioni mancano proprio di conoscenze essenziali a capire di cosa stanno parlando, e quanto a proposito, quando utilizzano termini resi scivoloso proprio dallo sfruttamento improprio. Oggi informarsi non è affatto difficile, basta andare oltre la superficie delle banalizzazioni online per scoprire ottime fonti, sia scientifiche che divulgative. Ma bisognerebbe partire dal riconoscere la propria ingenuità, impreparazione, e quindi estrema vulnerabilità. L'indignazione non è altro che un carburante, a cui occorre aggiungere motore, veicolo, strada, tappe intermedie e meta.

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