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Martedì, 23 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Ambiente, conservazione, progresso, e politica

Il «che fare» in fondo è un falso quesito per un falso obiettivo, se non ci si domanda prima perché farlo, a quale scopo muovere anche solo un dito. Nelle questioni ambientali si tratta di un dilemma sempre aperto, e di un dilemma squisitamente politico per giunta, che la solita stucchevole artificiosa contrapposizione tra i NO a qualcosa e i SI a qualcos'altro finiscono per occultare più che esplicitare. È tutela dell'ambiente, ad esempio, la conservazione di uno spazio cristallizzato nel tempo così come lo volle e interpretò il suo «autore»? Problema che si ripropone ogni qual volta un complesso architettonico-paesaggistico subisce le inevitabili pressioni dell'evoluzione sociale, urbana, tecnologica, e che mette l'uno contro l'altro gli approcci dell'urbanistica (scienze sociali) e del restauro (critica d'arte). Riconoscere queste diverse radici, probabilmente, potrebbe anche chiarire meglio sia gli interessi in campo che la coerenza o meno ad obiettivi di carattere più generale: conservare una cosa, quando l'oggetto del contendere non è un quadro o una statua, può significare a stretto giro distruggerne delle altre di identico valore e importanza, a meno di non trasferire tutto armi e bagagli nella filosofia conservazionista, pervasa pur sempre dalla propria retrotopia fondativa. Si tratta per giunta solo di un esempio tra tanti, visto che in genere gli scontri avvengono in modo addirittura «fratricida» tra concezioni diverse del medesimo obiettivo di tutela ambientale.

In un recente articolo sulla rivista Slate, Alex Baca se la prende con le recenti strategie del montante «socialismo Democratico» americano, specie della sua più vocale rappresentante Alexandria Ocasio-Cortez, sostenitrice di un radicale quanto apparentemente confuso Green Deal, che in realtà sarebbe assai poco green: «non tiene affatto conto della questione essenziale, ambientalmente, socialmente, economicamente, eticamente, ovvero dello spazio che abitiamo». Perché quel nuovo orizzonte verde, equo, solidale, giusto, che qualifica il socialismo Usa, non coglierebbe affatto il nodo cruciale della suburbanizzazione, dello sprawl, degli stili di vita indotti e sedimentati, che a tutto fa da contenitore (non a caso esistono poderose campagne conservatrici che indicano nella villettopoli una sorta di vero e proprio diritto costituzionale o divino). Forse si tratta di una critica legittima, ma piuttosto strabica, se è vero che al centro del Green Deal sta il contrasto al cambiamento climatico, e che solo a valle e a titolo di esempi di politiche coerenti compaiono la transizione energetica, il taglio delle emissioni, la riqualificazione dei posti di lavoro, e come «esempi tangibili» filiere come quelle del veicolo elettrico e della nuova mobilità sostenibile. Arrivare a sfiorare e poi coinvolgere quel contenitore-sistema che è lo sprawl suburbano (individuato sin dal dopoguerra come motore immobile dello sviluppo) sarebbe compito precipuo della politica, ed è già accaduto con il Repubblicano-ambientalista Schwarzenegger in California, accettando il disegno di legge Democratico 375 che, individuati gli obiettivi delle emissioni, stabiliva un rapporto col sistema insediativo e dei consumi individuali.

Quindi ricomporre sani e legittimi conflitti tra un NO ambientalista di parte e un SI altrettanto ambientalista di parte, sarebbe il compito della politica, se questa politica non finisse per svolgere o un ruolo di pura mediazione che non le è proprio, o addirittura schierarsi dall'una o dall'altra parte, spesso individuandola come conservatrice o progressista a prescindere. Ma per ricomporre qualcosa si dovrebbe avere chiaro l'obiettivo, della ricomposizione: dove si vuole andare a parare? Il politico che con la scusa di spiegarsi meglio davanti agli elettori si esaurisce in interessanti discussioni tecnico-attuative sul «che fare» qui e ora, dalla protezione di un paesaggio sacro alla comunità, alle innovazioni tecnologico-elettroniche che ci cambieranno l'esistenza urbana, non sta affatto facendo il suo mestiere, ma soltanto prendendo a prestito (o facendosi dettare l'agenda) gli argomenti dei suoi dirigenti di settore, o peggio di qualche suo referente economico, sociale, culturale. Mentre piccoli o grandi progetti magari immediatamente sgraditi a una parte degli elettori, assumerebbero valore e immagine molto diversi se inseriti in un chiaro percorso, magari intermedio, ma trasparente e dichiarato, in grado di costruire partecipazione e consenso. Del resto non succede decine di volte al giorno, solo per fare un esempio, con un banale cantiere che provoca disagio ma è accettato abbastanza volentieri da tutti? Pensiamoci, nella nostra continua quotidiana confusione tra particolare e universale: non basta, ma aiuta.

Riferimenti:
Alex Baca, The wretched, climate-killing truth about American sprawl,
Wired 11 febbraio 2019

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