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Venerdì, 29 Marzo 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

L'ambiente urbano siamo noi

Ci sono almeno due modi per considerare le astrazioni: uno ragionevole e uno molto comodo. Quello ragionevole non si scorda mai che per astrarre è indispensabile prosciugare, semplificare, arrivare a un'essenza particolare che esclude molto, che perde il contatto col tutto, che considera "scarti" cose che non lo sono affatto. Il modo comodo è invece dimenticarsi del tutto la differenza tra l'oggetto originale e la sua forma astratta, ed è così che le persone si trasformano in numeri, le relazioni in tabelle e grafici, i comportamenti in flussi che vagano qui e là aspettando che qualche filosofo gli appiccichi un significato qualsivoglia. E sperando che poi qualcun altro almeno ci provi, a verificare di nuovo nella realtà quei giudizi e impressioni formulati a freddo sulle forme astratte, magari scoprendo che ci eravamo costruiti un'immagine a dir poco balzana del mondo. Nell'intreccio fra spazi flussi e relazioni che compone il nostro ambiente metropolitano contemporaneo, questo del fidarsi troppo dell'astrazione per pura comodità e convenienza, è un rischio sempre in agguato: si individua una componente di interesse, la si isola per inquadrarla meglio, la si traduce in forme schematiche … e puntualmente finisce per confondersi con una rappresentazione credibile della realtà, quando non lo è affatto.

Recentemente mi sta capitando, un po' per caso un po' per scelta deliberata, di provare a sperimentare sulla mia pelle questa specie di bagno di realtà, di verifica empirica, di quanto si riesca ad allontanarsi dagli oggetti credendo di capirli meglio o usarli meglio. Il fatto è che sto tentando, con vario successo, di spostarmi in città tenendo a mente quel metodo suggerito sempre dal Papa (o da tanti altri leader religiosi): "mettere l'Uomo al centro". Che sembra banale al limite della stupidità quando si pensa a muoversi: per forza ci si deve muovere tenendo sé stessi al centro, no? E invece se ci riflettiamo un istante non è così, e per via della famosa astrazione. Confondiamo il fatto di muoverci con quello di collocarci dentro un pezzo di rete, di diventare parte di quella rete, sino a seguirne le trame, i luoghi, i tempi, le modalità. Invece di fare quel che avremmo fatto mantenendo noi, la nostra identità, le nostre motivazioni originali al centro di tutto. Per esempio, voglio portarmi a casa una scorta di frutta, il che significa spostarmi da casa fin dove c'è quella frutta, e tornare sui miei passi carico dell'acquisto. Invece, in tantissimi casi il ragionamento si distorce subito: voglio salire sulla mia auto e seguire il percorso stradale più agevole che con quell'auto mi porta nel luogo dove parcheggio meglio vicino alla fonte di frutta che offre quel convento. E la stessa cosa può valere anche invece dell'auto se inforco la bicicletta, o salgo sulla metropolitana, eccetera.

Un recente studio di ARUP, firma internazionale di architettura e ingegneria operante in moltissimi paesi, si intitola significativamente "Città vive: verso un mondo che cammina", e prova a immaginare organicamente cosa significhi, passare dalla centralità del muoversi meccanico, sulle infrastrutture dedicate, alla centralità dell'essere umano visto isolatamente coi suoi bisogni, ovvero solo dotato della capacità e volontà di camminare. Questo comporta ripensare alla forma dei quartieri, al rapporto degli edifici con gli spazi dei flussi, all'accessibilità, alle distanze tra le funzioni residenziali, economiche, di servizio, gli ambiti pubblici e privati. Insomma molto molto molto di più che non il classico alternarsi che abbiamo iniziato a riscoprire, più o meno dagli anni '70 in poi, fra isole pedonali, reti ciclabili, carreggiate automobilistiche e sistemi di trasporto collettivo meccanico. Ma soprattutto, questa riflessione sulle forme, i flussi, le funzioni, consente di andare anche oltre, e porsi davvero la domanda centrale: cosa ci vado a fare, là? Che evoca quella successiva e successiva ancora, ovvero come ci vado, e come potrei invece andarci ma al momento mi pare poco praticabile, eccetera eccetera. Paiono quesiti filosofici un po' stravaganti, ma se tutte le volte che scendete in strada provaste a porveli davvero, invece di saltare in auto, inforcare la bicicletta, dirigervi verso la più vicina fermata dei mezzi, magari potreste scoprire risposte sorprendenti.

Su la Città Conquistatrice molta parte della sezione dedicata alla Mobilità Dolce prova a esaminare l'idea dei flussi urbani in una prospettiva di questo tipo

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