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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Architettura anti auto

Mio padre in quel suo modo sempre un po' troppo schematico delle cose imparate da fonti più autoritarie che autorevoli provava a insegnarmi da bambino che "l'ingegnere fa il progetto e l'architetto ci mette le decorazioni". Tempio e totem di quel dogma, che peraltro potevamo verificare di persona direttamente spesso e volentieri, la Stazione Centrale di Milano. Schematico o no quel modo di mettere le cose di sicuro con quell'esempio funzionava molto bene, dato che appariva anche a un bambino visibilissimo il ruolo separato del rilevato ferroviario, delle grandi arcate metalliche di copertura a chiudere la stazione di testa, e invece la "applicazione successiva" della facciata a fungere da contenitore delle scale per riportare i passeggeri al livello del suolo. Certo riflettendoci un istante di più appariva chiaro come fosse sbagliato sia definire decorazione la parte architettonica, manco si trattasse di fiorellini verniciati su una trave, sia non considerarne il ruolo effettivamente funzionale e integrato, che letteralmente "adattava all'essere umano la macchina" scavandoci dentro spazi accoglienti, simboli e riferimenti, prestazioni d'uso inconcepibili nella logica puramente meccanica dell'idea ingegneristica del far arrivare i treni fin lì.

Resta però l'uso strumentale innegabile di quello "ornamento a nascondere qualcosa", qualcosa peraltro di noto a chiunque ma che per varie ragioni è utile non sbandierare troppo. Saltando a piè pari tutte le considerazioni che verrebbero qui su termini come "funzionalismo" oppure "brutalismo" come modo storicamente sperimentato di far sintesi della dualità, arriviamo al motivo di questa piccola premessa, ovvero le recenti riqualificazioni delle piazze per contrastare l'invadenza delle automobili private: quelle dei residenti in sosta, quelle degli utenti di commercio servizi posti di lavoro, quelle dei flussi di area vasta che quelle piazze le attraversano come fossero svincoli. A Milano recentemente ci sono un paio di casi molto identificabili in cui quello schematico dualismo di mio padre sembra ripresentarsi perfettamente identico. Il primo è quello delle cosiddette Piazze Tattiche, dove per combattere soprattutto la storica usucapione di spazio pubblico all'auto privata si usata la tecnica della verniciatura partecipata di superfici, desunta dal programma Asphalt Paint di Bloomberg, proprio a "decorazione funzionale" la riappropriazione dei cittadini. La seconda recentissima negli esiti finali è la riqualificazione di Piazzale Loreto (a poche centinaia di metri dalla Stazione Centrale da cui eravamo logicamente partiti), dove addirittura pare essere stata sfruttata una sorta di Architettura per le Allodole.

Perché se la strategia anti auto in sosta vietata o fortemente improvvisata delle Piazze Tattiche era sia evidente che esplicitamente proclamata, trattandosi in sostanza di interventi molto locali pur inseriti in rete, non pareva così controproducente per la pubblica amministrazione dichiararsi tale: contraria alla sosta abusiva, una posizione politica ineccepibile e senza nessun rischio di contraccolpi di consenso, se si esclude chi ritiene un po' in stile anni '60 che la città debba e possa essere una tabula rasa ufficiosamente a disposizione del veicolo privato. A Piazzale Loreto, antico sfondo del Carosello "contro il logorio della vita moderna" che teorizzava l'inevitabilità di questa invasione, dichiararsi anti auto era assai più complicato. Perché non si tratta certo di prendersela solo con quell'angolino vintage sfigato della sosta vietata in terza fila che ingombra uno degli incroci, già simbolo di degrado semplicemente elencando le pochissimo urbane insegne degli esercizi frontisti. Rimuovere il monopolio del flusso e sosta automobilistica in un nodo metropolitano del genere (dove lo spazio pubblico era stato virtualmente "sotterrato" mezzo secolo fa insieme ai binari del trasporto collettivo) era qualcosa di più contrastato e attaccabile, oltre che ben esteso oltre l'ambito della piazza, a differenza degli angolini tattici davanti al bar di quartiere. Da qui la centralità assoluta del progetto di architettura, come è stato presentato e ancora viene discusso l'intervento, come emerge vistoso da stampa e social. Interessante comunque questo uso strumentale della pubblica amministrazione di un mezzo di solito tipico della speculazione privata.

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