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Martedì, 23 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Dario Franceschini e i campi da golf

La cultura italiana tradizionalmente molto sbilanciata sul versante cosiddetto umanistico, in genere tende a costruire un'idea del mondo abbastanza intuitiva, a volte estetizzante. Caratteristica questa che qualifica sia i cosiddetti devastatori, cementificatori e simili, sia i loro oppositori più strenui, dai conservazionisti classici ai contemporanei comitati NO locali e loro coordinamenti. 

L'approccio intuitivo, a volte aiuta a cogliere magari confusamente alcuni spunti, che poi si svilupperanno in modo più sistematico in una proposta o in una politica. Ma altre volte porta a far confusione, a costruirsi un'idea del mondo a dir poco parziale, a dirla tutta sbagliata. Sbagliata soprattutto quando si ha un po' di potere per cambiarlo, quel mondo di cui si parla dopo essersene fatta un'idea del genere.

Probabilmente è incappato nel medesimo equivoco estetizzante, magari incautamente spinto da qualche consigliere che non meritava tanta fiducia, il ministro responsabile per i Beni culturali e il Turismo, Dario Franceschini che a un convegno si è dichiarato in linea di massima favorevole alla realizzazione di campi da golf, in grado di attirare un non meglio identificato turismo americano di fascia superiore. Dimostrando che né lui, né i consiglieri che gli hanno magari preparato la traccia dell'intervento, avevano considerato cosa vuol dire esattamente “campo da golf”, affidandosi invece all'estetizzante intuizione all'italiana, che evoca mattine brumose, rumori ovattati di palline contro le mazze, prati tosati e poco altro.

Come invece sa praticamente chiunque un campo da golf non se l'è solo immaginato prima di entrare nella sala di un convegno, ma se l'è visto davanti in solido brick, mortar and greenfield, quella cosa di cui il ministro parla è invece assai più simile a un villaggio vacanze, a una proprietà recintata, a un grazioso ma inaccessibile campo un po' aperto e molto no. E ripropone un classico tema di sviluppo: sino a che punto la risorsa non rinnovabile possa essere sfruttata. Vale per il petrolio, per l'aria e l'acqua che ci fanno vivere, per il territorio su cui poggiamo i piedi, e che esteticamente definiamo paesaggio. 

La cosa peggiore per il paesaggio si chiama in gergo internazionale (quello che usano gli americani anche di fascia alta) sprawl, e si compone tra le altre cose di quei villaggi del golf. Che non sono una cosa negativa perché sono brutti, o così così, ma per un altro motivo.

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