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Giovedì, 25 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Candidati e trasformazioni urbane

Sui social network girano, specie durante le campagne elettorali, quei fotomontaggi o Gif animati in cui si sfotte un candidato per una sua particolare proposta, di solito facilmente riassumibile in una immagine con o senza breve didascalia. Niente di meglio, per questi "umoristi politici" tanto compulsivi quanto di bocca buona, delle elezioni cittadine locali per trovare spunti gustosi e surreali, su cui diventa facilissimo costruire le battute. La funivia urbana o il tunnel per scavalcare il traffico, le case a basso costo per tutti e dappertutto, le distese verdeggianti al posto di scali ferroviari o capannoni abbandonati, sono in effetti idee facilissime da sfottere, specie se si induce il lettore di quelle vignette improvvisate, a confrontarle con la realtà che vorrebbero affrontare.

Perché come tutti in fondo sappiamo "il problema è un altro", e il furbo politico di solito tanto pronto nell'usare questa frase in un talk show, non ne coglie il senso cascando in quella trappola del progetto acchiappaconsensi facili. Forse, sia per evitare la satira più spontanea, sia per chiarire meglio cos'ha in mente per il futuro dei suoi elettori e cittadini tutti, il candidato farebbe meglio a chiarire prima il suo pensiero strategico, altrettanto facilmente riassumibile in uno slogan di due o tre parole, e dentro al quale poi possono pure trovar posto tutte le funivie, tunnel, case economiche e parchi del mondo.

Uno dei più grandi urbanisti del XX secolo era, come tanti suoi colleghi, originariamente un laureato in architettura, e quindi spontaneamente portato proprio a pensare quasi subito alle trasformazioni fisiche puntuali della città. Ma sir Patrick Abercrombie, questo il suo nome, sapeva anche trattenersi, nel momento di esprimere chiaramente la propria strategia e chiedere consenso, come nel piano più famoso in assoluto, quello per la Grande Londra del 1944, in cui delineava l'assetto futuro della principale regione urbana d'Europa, da ricostruire dopo le immense distruzioni belliche, e proiettare sul lungo periodo fino al Duemila (allora una specie di traguardo fantascientifico, come oggi pensiamo alla conquista del Sistema solare o al superamento della crisi climatica). Nella sua introduzione o "Preambolo" a quel grandioso piano, sir Patrick delineava, usando le sue stesse parole, la cornice di una quadro, i suoi tratti essenziali, lasciando che fossero poi altri a definire gli sfondi, i personaggi, le sfumature, i chiaroscuri. Superando appunto quella sua specie di istinto da architetto prono a pensare a case o giardini, dichiarava spiazzante: il nostro obiettivo è di svuotare Londra, diventata inabitabile, da parecchie centinaia di migliaia di abitanti. E si diffondeva sui motivi per cui era opportuno, positivo, desiderabile farlo, e quanto l'avrebbero desiderato anche quegli stessi abitanti, di andarsene, adeguatamente "inquadrati" nel suo abbozzo strategico. Solo poi, e solo vagamente, dava qualche spunto sulle trasformazioni fisiche necessarie a quella migrazione biblica.

La cosa davvero curiosa è che oggi, la stessa Londra di cui parlano le cronache per le più riuscite Olimpiadi da decenni, o dopo l'elezione del nuovo sindaco espressione della società multietnica del terzo millennio, è proprio quella delineata ancora sulle macerie fumanti dal Preambolo di Abercrombie, come se lui fosse stato il capostipite di una specie di dinastia di Faraoni, e non un modesto studioso e urbanista, capace però di esprimere adeguatamente un pensiero strategico. Opere ben più grandi di tutte le funivie, o tunnel, o quartieri economici o parchi, si sono realizzate negli anni, esattamente seguendo il suo schema, e nessuno si sognerebbe mai di metterle in discussione in quanto tali, a differenza per esempio di quanto avvenuto oltreoceano nella "cugina New York", dove negli stessi anni imperversava un autentico dittatore dell'approccio per progetti, quel famigerato Robert Moses che senza mai rivelare a nessuno la sua vera visione per la metropoli, sembrava pensare e agire solo a colpi di autostrade urbane, ponti a infinite arcate, mastodontici centri civici, demolizioni di quartieri popolari e trasferimento degli abitanti in nuovi complessi progettati dagli amici architetti razionalisti. Oggi, nel mondo di Robert Moses ci si ricorda solo cantando le lodi della sua più radicale e ostinata nemica: quella Jane Jacobs che alla megalomania distruttrice/costruttrice dello Zar, opponeva le piccole volontà delle famiglie, dei negozianti, delle scuole elementari col loro piccolo parco da difendere dal passaggio di una nuova corsia stradale.

Cosa avevano in comune, sir Patrick e la segretaria di redazione Jane, pur senza essersi mai conosciuti? Ciascuno, a modo proprio, dimostrava di stare in qualche modo dalla parte del cittadino, di lasciargli spazio, pur dentro un'idea complessiva di città da condividere e magari da migliorare, di formulare i propri progetti di vita, di investire, di costruirsi delle aspettative per il futuro. Il grande progetto che si scava facilmente la strada per atterrare sulle pagine dei giornali, e che trova certamente consenso tra chi guadagnerà nella sua realizzazione, dovrebbe (se lo propone un candidato politico che chiede dei voti) venire a patti coi bisogni di chi ne sarà utente, e per farlo deve nascere da quei bisogni, invece di essere calato improvvisamente e autoritariamente dall'alto. Ciò non significa però trasformare la gestione di tutte le politiche urbane nella somma aritmetica di progettini individuali da ricomporre in un enorme, improbabile mosaico, vuol dire come a suo tempo sir Patrick "delineare un quadro" abbastanza ampio e accogliente perché tantissime cose ci possano trovare posto, adattandosi e magari arricchendosi. Insomma cosa vuole, davvero, il candidato? Certamente, almeno se parla in buona fede, quel suo progetto non ha un valore di per sé, ma solo dentro i suoi obiettivi più generali, ma quali sono questi obiettivi generali? Potrebbe dirci che ci vuole più sani, belli, felici, intelligenti. Troppo vago, improbabile? Magari no, se poi ci racconta in modo credibile qual'è il ruolo della funivia, del tunnel, del quartiere popolare o del parco, verso quell'obiettivo che in fondo è anche il nostro. Altrimenti, se qui il candidato tentenna, ovviamente non ha affatto le idee chiare, oppure non ce le vuole chiarire, e si merita tutti i fotomontaggi satirici del mondo. Anzi merita di non essere affatto eletto, perché inaffidabile.

Su La Città Conquistatrice si prova anche, nel quadro delle politiche urbane, a distinguere tra Destra e Sinistra

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