rotate-mobile
Venerdì, 29 Marzo 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Esiste una "Città delle Donne"?

In un articolo pubblicato nel marzo 2006 dalla rivista di sinistra critica The Nation, Rebecca Solnit collocava negli anni '60 di crescita dei movimenti antagonisti giovanili, culturali, etnico-razziali e ambientalisti, l'opera di "Tre Donne che Fecero la Rivoluzione". Si riferiva alla triade ideale composta dalle Autrici di tre libri chiave per tutto il '900, ovvero Jane Jacobs con La Vita e la Morte delle Grandi Città uscito nel 1961, Rachel Carson con Primavera Silenziosa del 1962, Betty Friedan con La Mistica della Femminilità, del 1963. Quelle che Solnit definisce vere e proprie bombe intellettuali all'assalto di luoghi comuni delle società industriali occidentali. Punti di vista alternativi e antagonisti che irrompono per esempio nella città moderna segregata del dopoguerra, dove vige la separazione invalicabile tra casa e lavoro, ricchi e poveri, viali residenziali, o per uffici, o arterie commerciali, e allargando infinitamente le distanze fisiche dall'uno all'altro ambito nell'esplosione dello sprawl suburbano.

Un antagonismo narrativo che mette in discussione la neutralità della scienza e delle soluzioni tecniche ad antichi problemi, in genere creandone altri ancora più intricati. E infine inquadrando tutto nella critica all'idea di società patriarcale pervasiva, mal nascosta dietro la modernità industriale del ceto medio, e a seguire delle altre fasce. Che tipo di Rivoluzione farebbero queste Autrici? Secondo Solnit in una prospettiva storica esse evidenziano il "progetto di controllo del mondo in ogni sua dimensione .... Il loro lavoro ha trasformato le nostre percezioni del mondo interno della casa, del mondo esterno delle città, e del regno più ampio della biosfera, spalancando nuove vaste possibilità di trasformazione sociale". Con queste premesse tanto solide e chiare ci sarebbero tutte le ragioni per aspettarsi, specie nel contesto del decennio successivo, di radicalizzazione e organizzazione politico-culturale di tanti dei movimenti nati negli anni '60, la definizione da parte del movimento femminista di una sorta di distinguibile «Idea di città» propria, con caratteri altri rispetto alle svariate utopie prodotte sull'arco dello sviluppo industriale, classificabili tutte nel quadro del dominio patriarcale. Succede qualcosa del genere? Da ignorante universale, ho provato a chiedere di di questioni di genere e città si occupa per mestiere. La risposta, apparentemente positiva, ma ha lasciato parecchio perplesso.

Mi è stato detto, in breve, che ci sarebbero fior di professioniste nei campi dell'architettura e della progettazione urbana, che infondono particolare interesse negli aspetti gender specifici della propria attività. Il che però ci riporta a riflessioni ormai quasi antiche della studiosa di formazione femminista Dolores Hayden, che giusto alla fine degli anni '70 provava a fare un bilancio della architettura e urbanistica gender oriented verso una «città non sessista» come titolava il suo articolo per il Journal of Women in Culture and Society. Descrivendo in realtà progetti di abitazioni ideali, a volte riunite in piccole aggregazioni di caseggiato, che non provano nemmeno in teoria a sfiorare una vera e propria idea di Città delle Donne, come quella vagamente auspicata dalla sociologa britannica L.E. White in piena epoca di ricostruzione post-bellica quando denunciava progetti di discrete cucine ma orribili città: "L’influenza dell’urbanistica sul pensiero e l’opinione delle donne, sia come singole nelle proprie case che collettivamente nelle loro organizzazioni, è stata irrilevante. È strano, se pensiamo a quanto esse hanno influenzato lo housing, come entità distinta dal planning" (Town and Country Planning, settembre 1951). Insomma ogni generazione di donne pare fatalmente tornare a ripetere il medesimo errore di prospettiva che vide, alla nascita dell'idea stessa di città razionalista diretta discendenza delle avanguardie storiche del '900, Grete Schütte-Lihotzsky progettare la quasi leggendaria Cucina di Francoforte del 1925, vero e proprio cuore pulsante anche metodologico di organizzazione spaziale e sociale, allargata poi al caseggiato al quartiere e all'intera città. Di cui però accettava la logica intrinseca, che oggi forse potremmo tranquillamente definire «patriarcale». E il cerchio si chiude perché, parere ovviamente personale ma credo fondato, una Città delle Donne coerente non pare esistere in quanto tale.

La Città Conquistatrice – Questioni di Genere

Si parla di

Esiste una "Città delle Donne"?

Today è in caricamento