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Venerdì, 19 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

La Città ad uno Stadio di Sviluppo

Si dissertava non molto tempo fa sulla idea di urbanistica innovativa o semplicemente autoritaria emersa dalla formazione della giunta milanese dopo le elezioni amministrative 2021 che avevano al tempo stesso premiato il Sindaco in carica e l’Assessore competente, portatori di visioni però divergenti (così almeno venivano presentate). La scelta finale, si ipotizzava cercando una spiegazione meno dietrologica di altre, era stata in sostanza di delegare tutto il delegabile, avocando però direttamente al primo cittadino quella «idea di sviluppo» che nel quadro di economie locali di transizione postindustriale subentra all’antica separazione politica tra la «urbanistica-edilizia» e il resto considerato sostanzialmente a parte anche quando a parte non è affatto neppure nelle decisioni. Un passaggio che significa da un lato praticare una innovazione amministrativa pratica di notevole spessore, schivando le difficoltà politiche legislative, e conferendo nei fatti ruoli simili a quelli che Sindaci e Assessori hanno da tempo nelle grandi metropoli internazionali. D’altro canto un ritorno per l'urbanistica a quella originaria ispirazione di scelta politica su suggerimento tecnico molto teorizzata ma pochissimo praticata nei decenni, e che sin dal principio comprende aspetti che ormai il senso comune non addentro al tema considera esterni.

Per chi se lo fosse dimenticato, un breve «riassunto delle puntate precedenti» che consistono nella battaglia di un secolo fa tra il cosiddetto Urbanismo e la cosiddetta Urbanistica. Urbanismo, chi era costui? Nel progetto sia formativo post-universitario per alti funzionari, sia organizzativo degli uffici municipali, elaborato da Silvio Ardy e presentato a uno dei primissimi congressi tematici nel 1924, l’urbanismo (il termine in sé è ripreso dal francese prima che le Corbusier gli appiccicasse d’autorità il proprio ristretto senso architettonico) sarebbe un collage organico tra: Amministrazione e Finanza; Demografia e Statistica; Piani Regolatori; Edilizia Privata; Strade; Trasporti; Igiene e Sanità; Acquedotti e Fognature; Polizia e Circolazione; Consumi e Prezzi; Istruzione; Varie ed eventuali tra cui si notano accordi intercomunali; arredo urbano; sperimentazione tecnologica e organizzativa, fino a cenni sulla gestione delle case di tolleranza evidentemente fattore chiave per certo turismo. Cito quasi alla lettera da un articolo dello stesso Ardy datato 1928, più o meno alla vigilia del vero e proprio colpo di mano con cui un gruppo di architetti professionisti-accademici prima imponevano un Istituto Nazionale di Urbanistica molto marcatamente orientato alla propria visione delle trasformazioni urbane, e poi di fatto influenzavano per i decenni successivi anche l'organizzazione politico-amministrativa degli enti locali, inclusi settori tecnici, deleghe assessorili in epoca di democrazia multipartitica e così via.

Sino a definire il problema su cui è intervenuto a modo suo il neoeletto Sindaco di Milano «avocando a sé la delega»: ma quale delega esattamente? Quella che potremmo chiamare appunto neo-urbanismo, o idea di città, o parlando terra terra e da manager così come viene chiamato l'approccio del sindaco: progetto di sviluppo locale. La prova del nove di questo tipo di strategia, dovrebbe essere il nuovo Stadio di San Siro già oggetto di qualche divergenza in passato proprio tra «specialista tematico» assessore e «sindaco sintesi» delegante suo malgrado. Una idea che specie nella prospettiva della catena Eventi piccoli o grandi che siano su cui pare si debba poggiare per un po' l'economia metropolitana intreccia molto strettamente la riqualificazione urbana (distinta dalla antica urbanistica perché non più fondata sulla crescita infinita quantitativa), la gestione dei flussi anche e soprattutto dall'esterno dei confini amministrativi, un governo e interazione con gli interessi particolari non più frammentato. In cui fermi restando i rapporti coi quartieri, le forme spontanee o organizzate di conservazione-trasformazione, la risposta a bisogni locali di verde, servizi, abitazioni, la sostenibilità altrettanto locale di scelte urbanistico-edilizie-funzionali, resta in primo piano sempre e comunque una idea altra di governo delle scelte. In cui in fondo basta «tradurre» i termini fissati un secolo fa per leggere in filigrana anche l'idea di città, meno edilizia, più socioeconomico-ambientale. Che poi può piacere o no, ovviamente, ma andrebbe considerata così, non misurata solo in metri cubi su metro quadro o sviluppi in altezza.

Riferimenti: Silvio Ardy, Fabrizio Bottini, Urbanista: una persona o un punto di vista? (1928-2017) 

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