rotate-mobile
Venerdì, 19 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Urbanistica sostenibile in epoca di pandemia (e prospettiva storica)

Alla Town Planning Conference di Londra del 1910, dove con gli auspici del Royal Institute of British Architects si pongono le basi per quella che sarà l'urbanistica moderna novecentesca, il planner americano Charles Mulford Robinson presenta una relazione che potremmo tradurre "Vie troppo uniformi nella città in transizione". Quella transizione a parere di Robinson è innanzitutto un processo costantemente in corso, ma nel caso specifico delle vie riguarda la natura dei flussi materialmente assai diversi per cui erano state pensate le strade tradizionali, vuoi intese come semplice evoluzione degli antichi sentieri vuoi come elemento della griglia uniforme pubblico/privato nello stile liberale americano fissato col Piano dei Commissari di New York 1811, sostanzialmente adottato dai principali centri del paese da lì in poi e base del mercato urbano. La tecnologia e l'organizzazione industriale, che su tutto l'arco del XIX hanno consentito sia di realizzare trasporti più veloci sia di renderli accessibili a vaste fasce di reddito, cancellerebbero quell'equilibrio standard di pieno-vuoto pubblico-privato, rendendo urgente una totale riformulazione del territorio urbano per zone omogenee funzionali e sociali, ciascuna con una propria caratteristica griglia stradale a cui corrisponde anche una redistribuzione degli spazi.

L'interesse di metodo della riflessione di Charles Mulford Robinson è notevolmente aumentato se si considera che, a differenza di altri pur prestigiosissime relazioni alla medesima Planning Conference (ricordiamo qui fra tutte ad esempio quelle di Daniel H. Burnham sulla città dell'automobile o di Eugène Hénard sulla metropoli aeronautica e dei grattacieli torri di segnalazione) pare solo in minima parte ispirato a dare un contesto più generale a propri specifici piani e progetti. Lo si intuisce abbastanza bene pensando come in realtà la sua figura scientifica e professionale, come accade in questa epoca pionieristica, diverga da quella del classico architetto o ingegnere così come si affermerà nell'urbanistica almeno dagli anni '20 in poi, dal progettista artista puro alla le Corbusier a tutte le varianti intermedie. Robinson è un giornalista diventato quasi per caso teorico urbano, che sul volgere dei due secoli incrocia professionalmente, accademicamente e politicamente i grandi movimenti della City Beautiful prima e della città giardino poi. E le cui eventuali applicazioni pratiche nei piani e nella didattica universitaria rappresentano solo un laboratorio sperimentale, uno strumento anziché un fine insomma.

Dobbiamo tenerne conto, di questa premessa, per cogliere il contributo autentico della riflessione, anche se quasi subito si inoltra in proposte teorico-pratiche progettuali che sono poi il palinsesto di un intero secolo di urbanistica: l'articolazione per zone omogenee regolamentate (l'ordinanza di Zoning di New York che fa da base arriverà pochi anni dopo), dove si materializzano la City Beautiful civica-terziaria, il sobborgo giardino sia nelle versioni borghesi che popolari a maggiore densità, i parchi a "collana di interposizione" anche sociale, e sullo sfondo seminascoste le zone produttive e di impianto. Non è quell'articolazione, che ci pare oggi ovvia e superata da tecnologie e sensibilità, il senso della antica riflessione di Robinson, ma proprio il metodo su cui si basa e che probabilmente ci richiede un ribaltamento coerente di quelle conclusioni.

La "città in transizione" è uno stato permanente, non una fase precaria, e il fatto di cristallizzarsi in progetti spaziali definiti (che nel caso di Robinson sono le zone omogenee del distretto terziario, industriale, residenziale, a loro volta con caratteri interni definiti dalle culture e interessi dell'epoca) non ne dovrebbe mettere in discussione certe invarianti storicamente determinate. Pensiamo a quanto si sia rivelata resiliente nei secoli la citata griglia di Manhattan 1811, molto più dei serpeggianti sentierini del sobborgo giardino a ben vedere, ritagliati sulla Rue de l'Âne odiata dai modernisti o sulla camminata del capofamiglia ubriaco di ritorno dal pub come insinuava qualcuno. E pensiamo a quanti riaggiustamenti stradali si stanno rivelando essenziali nella nostra epoca di transizione dalla città dell'auto a quella della nuova mobilità articolata e della salute post-pandemia. Ecco: seguire un metodo anziché affidarsi alla sensibilità contingente aiuta a combinare meno sciocchezze che poi resteranno sul groppone delle generazioni future. È "urbanistica sostenibile" in senso davvero filologico.

La Città Conquistatrice - Covid-19 

Si parla di

Urbanistica sostenibile in epoca di pandemia (e prospettiva storica)

Today è in caricamento