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Venerdì, 29 Marzo 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Il Non Luogo della fila al supermercato

Su queste pagine mi piace spesso citare quel comportamento neocafone che chiamo «'spetto la mujère», del tizio piazzato in auto di traverso davanti alle porte a soffietto del supermercato, in attesa della consorte intenta allo shopping. Comportamento che non ha altra giustificazione se non la cafonaggine di chi lo mette in campo sempre e comunque, e nessuna correlazione con il leggendario «problema del parcheggio» a cui a volte si tenta di accostarlo. Prova ne è che anche nelle giornate di vera e propria economia di guerra indotta dalla malagestione dell'emergenza sanitaria, con le file chilometriche per la spesa e strade semideserte, loro se ne stavano sempre lì, anche nella variante sul cordolo davanti alla fermata coperta dell'autobus, nonostante la disponibilità di centinaia di piazzole libere anche lì accanto: «soppiùccomodo». Vessillo sbrindellato e selvaggiamente orgoglioso dell'invadenza automobilistica, il cui zoccolo duro pur magari meno vistoso è però un altro, oggi davvero emergente grazie alle medesime code da economia militarizzata. Basta averne fatta una per capire a cosami riferisco: centinaia di persone obbligate pur nella situazione di traffico a dir poco rarefatto e sosta al limite dell'inesistenza (salvo dove la fila si snoda direttamente dentro il parcheggio del supermercato), ad adattare a comportamenti del tutto normali ambienti che normali non sono affatto, scoprendo questa anormalità in modo spesso traumatico.

Non è un caso se il termine via o piazza si applica propriamente solo a quegli ambiti adeguatamente arredati, progettati, «pedonalizzati» come si suol dire, per la sosta e le relazioni. Le altre vie o piazze lo sono soltanto di nome,in realtà canali del flusso veicolare con minimi pertugi perché chi ha abbandonato provvisoriamente il proprio veicolo possa arrivare sano e salvo alla meta. Questo sono i marciapiedi, gli arretramenti, gli spazi interstiziali tra l'ultima fioriera dell'esercizio con tavolini all'aperto e il cordolo che scende in carreggiata. Provare per una volta a viverli, quei luoghi, restandoci ore in piedi ad avanzare guardinghi, scambiando occhiate e monosillabi col potenziale portatore di virus che ci sta davanti o dietro, significa verificare quella qualità infima che tra parentesi ci siamo pagati, e scoprire che non va proprio. A modo loro infatti l'avevano scoperto anche i cultori dello «'spetto la mujère», rifiutando anche l'uso da auto parcheggiata a destinazione finale che era deciso dagli standard urbani.

Cosa succede oggi? Succede che ovviamente esiste parecchio disagio, con tutta la migliore volontà di cooperare alle direttive ufficiali e alla gestione dei proprio distributore commerciale di fiducia. La fila si snoda enorme, a volte con manovrate deviazioni proprio a «non interferire col traffico» ancora padrone teorico di tutto lo spazio, agli incroci, ai passi carrai, alle varie discontinuità del cordolo. I comportamenti cercano o simulano qualche genere di territorializzazione o temporanea riappropriazione di quello spazio alieno, come accade in genere in tempi normali ai capannelli di amici incontrati sull'angolo, quando si forma quel curioso e vistoso accampamento a volte con fascia esterna di bambini a giocare. Ma non funziona granché.

Marc Augè ha plasmato notoriamente la sua definizione di Non Luogo inabitabile, non colonizzabile, sui paradigmatici ambiti di transito degli aeroporti o delle stazioni, esattamente i posti in cui si snodano lunghe file di attesa partenze-arrivi, identiche a quelle di oggi in attesa di comprare l'indispensabile. Con una differenza che mi pare fondamentale: quei Non Luoghi, prima i corridoi dei centri commerciali e poi atri di stazioni e aree passaggio dei terminal aeroportuali, hanno subito una vera e propria radicale trasformazione. Non tanto perché architetti muratori o stilisti siano intervenuti a cambiarne la natura, ma perché sono gli stessi utenti ad abituare la propria sensibilità, stili di vita e relazione, sino a conferire status di Luogo Abitabile a quei posti. Vista da un'altra prospettiva, la questione appare però una sorta di riconoscimento ai progettisti originari degli ex Non Luoghi, che alla lunga sono stati in qualche modo in grado di «plasmare la società» rispondendo in anticipo a bisogni che dovevano ancora manifestarsi. Con tutta questa lunga premessa, mentre avanziamo lentamente e goffamente lunga la fila del marciapiede, rimbrottati dalla guardia del supermercato perché teniamo distanze cautamente troppo lunghe, verrebbe da chiedersi: quando sarà che anche gli architetti e ingegneri e tecnici vari coinvolti nella progettazione del nostro spazio stradale urbano, sapranno concepire uno spazio meno ostile ad essere abitato? In cui anche fare una fila del genere in emergenza sanitaria possa essere diverso dalla tortura che è oggi? La speranza è l'ultima a morire.

La Città Conquistatrice – Strade 

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