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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Dal cucchiaio all'architetto-urbanista

Mi capita di notare in un sommario di rivista il nome di un autore certamente noto ma inusitato in quel contesto, e di andare a leggere l'articolo per curiosità. La rivista è City Planning, organo ufficiale della primissima associazione di urbanisti americani, fondata nel 1917 da Frederick Law Olmsted Jr. erede professionale dell'omonimo padre ottocentesco inventore della Landscape Architecture. L'Autore di cui mi capita di notare il nome che spicca in quel sommario è invece Eliel Saarinen, architetto professionista finlandese affermatissimo, noto negli USA soprattutto per la folgorante partecipazione al concorso del Chicago Tribune nel 1922, le cui apprezzatissime linee moderniste preparano la strada al trasferimento armi e bagagli dello studio in America, a fungere da profeta della nuova era dell'Architettura novecentesca. Di cui l'articolo che ho di fronte rappresenta evidentemente una sorta di manifesto quasi sconcertante nella propria spudoratezza. La tesi di fondo, semplicissima, consiste nell'affermare dalle pagine di City Planning che il city planning non esiste. Ovvero che non si dà alcuna urbanistica se non come prolungamento induttivo dell'architettura: l'esatto opposto di quanto pur contraddittoriamente discusso nel 1910 a Londra alla Town Planning Conference.

Dove pur su iniziativa del Royal Institute of British Architects e con la partecipazione attiva di professionisti e studiosi e amministratori da tutto il mondo, si provava a imboccare una strada del tutto diversa: nel nuovo secolo dell'industria matura che dispiegava al massimo grado le proprie energie economiche e sociali di trasformazione dell'ambiente, l'idea di città doveva staccarsi nettamente da quella sintesi perfettibile tra la «agrimensione urbana» che divide lo spazio privato da quello pubblico, e il «progetto urbano» a sua volta somma aritmetica di progetti architettonici, che ne definisce le forme. Niente affatto, rivendica Saarinen dalle pagine di una rivista che proprio a quella filosofia aderisce, il progetto architettonico deve comprendere tutto, ma proprio tutto, e anzi è dal dettaglio progettuale che già si possono cogliere le linee generali. Sembra essere una specie di ottimo assist e spunto a chi, contro le politiche di Zoning prescrittivo che si stanno faticosamente affermando nelle città americane (vincendo i ricorsi costituzionali contro i vincoli alla sacralità dell'iniziativa privata), riafferma in sostanza il capitalismo compassionevole della City Beautiful ottocentesca temperata dal filantropismo o dalle istanze partecipative insegnate nelle Scuole dal Sussidiario del Cittadino Consapevole, scritto dal privatissimo piazzista porta a porta Walter D. Moody.

Ma uscendo dall'ambiente americano dobbiamo anche ricordare che l'anno prima dell'articolo di Saarinen in Europa si era pubblicato Urbanisme di le Corbusier, le cui idee di città pur certamente da una prospettiva modernista diversa e senza rigettare di per sé l'urbanistica pubblica delle leggi e delle amministrazioni riportavano comunque al progetto e all'induzione. Come presto apparirà più evidente nel dispiegarsi di quell'approccio, dall'italiano Decalogo dell'Urbanista proposto da Gustavo Giovannoni nel 1928, alla Carta di Atene abbozzata già nella crociera CIAM del 1933, sino al più noto tardo slogan «Dal Cucchiaio alla Città» (e significativamente non viceversa). Da cui poi deriva tutta quella generazione di piani urbanistici di leggi urbanistiche di culture urbanistiche che in realtà urbanistiche non lo sono affatto, almeno se pensiamo a cosa speravano in principio proprio quegli architetti un po' a disagio nel proprio ruolo di «progettisti di città» e desiderosi di un approccio sociale, politico, ambientale e tecnico-scientifico diverso. Che magari includesse meglio cose diverse da quella centralità edilizio-architettonica che ancora dobbiamo subire un secolo e passa dopo. Mentre altre fondamentali cose meno interessanti per il progetto architettonico stanno invece fuori, andando un po' dove gli pare perché credono di sapersi regolare da sole. Quando si parla di nuova urbanistica magari solo a titolo di provocazione si potrebbe anche dichiararlo: nuova perché esclude gli architetti. Per scherzo ma anche sul serio.

Vedi Eliel Saarinen - Architettura e Urbanistica (1925)

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