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Giovedì, 28 Marzo 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Dalla diossina non ci salveranno i NIMBY

Come noto, le cronache per parecchi giorni si sono occupate di seguire passo passo i bollettini dell'Agenzia regionale per l'ambiente lombarda, responsabile anche per l'area metropolitana di Milano, e che riportavano la situazione di alcuni inquinanti nell'aria nelle varie parti del capoluogo e dell'hinterland. La causa di tutto questo improvviso interesse stavolta non era la classica inversione termica della stagione fredda, quando gli scarichi di veicoli e impianti non riescono a disperdersi nell'atmosfera minacciando la salute degli abitanti, ma un assai meno discutibile enorme incendio in un capannone di «stoccaggio rifiuti» nella periferia settentrionale della città. Cronache e commenti in massima parte paiono però non aver neppure sfiorato una particolarità dell'impatto sociale dell'evento, in particolare i veri e propri isterismi provocati tra «insospettabili». La durata del fuoco, e la variabilità del vento, hanno fatto sì che i fumi puzzolenti si siano fatti sentire vigorosi in quasi tutti i quartieri, incluso il centro e le zone eleganti dove di solito certi aromi da mucchio di plastica incendiato dietro l'orto abusivo non arrivano. E qui è partita la raffica delle reazioni spropositate.

Nonostante le autorità sanitarie, i vigili del fuoco, le amministrazioni cittadina e municipale locale, e i loro tentativi di rassicurare la cittadinanza sul fatto che non esistevano rischi particolari rilevabili né ragionevolmente prevedibili, hanno iniziato a circolare sia sul social network che sulla stampa di informazione cose davvero incredibili: ci stanno mentendo tutti, nascondono il disastro, ho sentito una puzza terribile, non può non essere diossina come a Seveso tanti anni fa … E via di questo tono. Ho letto anche sul profilo di un visibile e importantissimo esponente del mondo culturale e professionale una frase che suonava più o meno: «se tenete all'incolumità dei vostri bambini prendeteli e fuggite da Milano». Insomma quella che all'inizio poteva sembrare una piccola campagna locale di fake news orchestrata da qualche minoranza di opposizione, si è rivelata una vera e propria psicosi. La Milano bene, in genere del tutto indifferente agli incendi dei depositi analoghi di rifiuti quando avvengono «fuori porta» è stata colta dalla sindrome dell'assedio annusando una pur orribile puzza che arrivava dritta dalle proprie periferie, sconosciute ai più ma improvvisamente minacciose. Da un certo punto di vista si potrebbe pensare: ottimo, finalmente si è sensibilizzata l'opinione pubblica su un tema fondamentale come la filiera dei rifiuti.

E invece almeno a leggere quella colossale massa di commenti, interviste, articoli di cronaca locale, l'unica vera sensibilizzazione individuabile resta quella delle narici delle signore dei quartieri bene e dei loro mariti. Che invece, poniamo, di ricordare quante volte avevano in vita loro letto il titolo «Grave incendio in un deposito di Vattelapesca, si indaga sulle infiltrazioni criminali», capendo finalmente, toccando con mano e con naso, si limitavano a perdere il lume della ragione, a dare dei bugiardi a tutti, a chiedere di riportarcelo subito tutto quello schifo, alla Vattelapesca da cui veniva. Ho anche letto qualcosa del genere da qualche parte: i depositi a rischio andrebbero «allontanati dai quartieri», espressione elegantemente sobria per dire fuori dai piedi, lontano dal naso lontano dal cuore, il cuore pulsante dell'atteggiamento nimby, fate quel che vi pare ma fuori da casa mia. Peccato, perché aver sconvolto così l'opinione pubblica che fa opinione, reazioni isteriche a parte, poteva essere il primo passo per iniziare a ripensare davvero, localmente e meno localmente, tutta la filiera dei rifiuti, i depositi, il riciclaggio, la raccolta e i luoghi di concentramento, nel loro rapporto col territorio e le altre attività. Diciamo che c'è ancora tempo, e non è detta l'ultima parola? Diciamolo.

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